Secondo volume di “lati B e rarità” per Nick Cave con i Bad Seeds

Le b-sides e le rarities, sorellastre ritrose e non di rado tignose, me le figuro sempre come porte socchiuse sui camerini degli artisti. Ti invitano a sbirciare, per farti toccare con mano che non c’è niente. Promettono mondi ed universi di paillettes e lustrini per ricompensarti con un accappatoio sporco e un po’ di trucchi sparsi sul comodino. Illudono sempre, deludono di frequente.

Eterogeneo (per statuto) e feticistico (per destino) materiale di risulta, queste briciole di stelle sono però un sismografo ineguagliabile, un misuratore pressoché infallibile della temperatura al cuore del processo creativo. Quando, come nel caso nostro, ben sedici anni separano la prima dalla seconda esplosione della galassia centrale, si possono calcolare distanze, tessere confronti. E non è detto sia un bene o una fortuna che questi piccoli asteroidi incrocino il nostro ben più terreno cammino.

Affinità e (soprattutto) differenze fra primo e secondo volume di  B-Sides & Rarities

In quale stato di grazia creativa – ci chiediamo – doveva trovarsi Nick Cave, fra il 1990 e il 2004, per relegare nella propria privata pattumiera musicale le stupefacenti riscritture e reinvenzioni di What a Wonderful World di Armstrong, di Rainy Night in Soho dei Pogues e dello strascicato lamento d’amore di Lucy, rubate al cielo a quattro mani con il randagio fratello di strada, Shane Mac Gowan? Per poter considerare come ‘minori’, le straordinarie versioni acustiche di Deanna e di The Mercy Seat, che non si può fare a meno di appaiare – almeno – alle meno casual sorelle ufficiali? Si domanda, ma non si saprebbe dire. Poi ci si sovviene della scarnificata rilettura di Helpless di Neil Young e si perde la parola.

Il tempo non è stato galantuomo con Nick Cave

D’altra parte, di quanto la temperatura creativa di Nick Cave sia precipitata nel quindicennio successivo, B-Sides & Rarities / Part II (BMG) ci rende ragione con evidenza e talvolta anche con poca pietà. Non me ne vogliano i devoti, ché anche io sono dei loro. Ogni giorno spero e prego per una nuova, inattesa erezione creativa di Nick, ma non posso fare a meno di registrare, con gratitudine e solo con un po’ di sconforto, che il meglio è, presumibilmente, alle spalle da tempo. Siamo onesti. Se della Part I restava il senso di una lussureggiante esorbitanza creativa, di questa Part II si raccoglie il vuoto di una sconfortante desertificazione che è sì esso stesso, in Skeleton Tree più decisamente che in Ghosteen, un motivo di doloroso stimolo creativo, ma anche, non di rado, uno scacco matto sul piano dell’esito estetico.

Va a tutto merito di Nick Cave l’aver confinato ai margini della propria discografia ufficiale questi angosciosi tentativi, queste cocciute esercitazioni di “un Mozart stonato che prova e riprova” e che, come già nei versi amari del grande pavanese, “il senso del vero non trova”. Sintomo di una vigile capacità di lettura del proprio percorso artistico, e di un raro controllo autocritico sul frutto del proprio ventre creativo che non sempre soccorrono, in tempi di magra. Gliene sia dato atto.

Anche un Nick Cave stanco ha i suoi colpi d’ala

Che poi non si sia Nick Cave per caso o non lo si diventi così, per un colpo di culo, è vero, e che nell’uniforme e un po’ stitico panorama di Part II non manchi il colpo d’ala lo è altrettanto. Non mi riferisco però alle tre “first” – First Skeleton Tree, First Bright Horses, First Girl In Amber – intenzionalmente il piatto forte del pasto musicale. Rese astutamente visibili, ma non scaricabili, su alcune piattaforme musicali digitali, poco o nulla aggiungono, nel loro dressing dimesso e struccato, alle versioni ufficiali, che le sorpassano di qualche spanna. Mi riferisco alla straordinaria rilettura di Avalanche di Leonard Cohen, da sempre conficcato al fondo dell’anima dell’australiano, trasformata nel disperato sussurro di un naufrago sperso in una notte che non conosce alba. Fa tremare l’originale, fa tremare noi. Vale da sola il disco e quindici anni di pene e piace credere abbia strappato quasi un sorriso a Leonard, ovunque egli si trovi.

Nick Cave & The Bad Seeds- B-Sides & Rarities / Part II
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Ha iniziato ad ascoltare musica nel 1984. Clash, Sex Pistols, Who e Bowie fin da subito i grandi amori. Primo concerto visto: Eric Clapton, 5 novembre 1985, ed a seguire migliaia di ascolti: punk, post punk, glam, country rock, i pertugi più oscuri della psichedelia, i freddi meandri del krautrock e del gotico, la suggestione continua dell’american music. Spiccata e coltivata la propensione per l’estremo e finanche per l’informe, selettive e meditate le concessioni al progressive. L’altra metà del cuore è per i manoscritti, la musica antica e l’opera lirica. Tutt’altro che un critico musicale, arriva alla scrittura rock dalla saggistica filologica. Traduce Rimbaud.

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