Nick Cave & The Bad Seeds – Wild God

Esce Wild God, atteso ritorno di Nick Cave & The Bad Seeds.

Un nuovo disco di Nick Cave & The Bad Seeds è sempre atteso con ansia e questo Wild God non fa eccezione, soprattutto perché segue una stringa di collaborazioni con il solo Warren Ellis che hanno suscitato reazioni molto differenti, dall’annoiato all’entusiasta. Nick Cave è ormai assurto a un livello di notorietà impensabile anche solo dieci anni fa e la sua è una parabola, se ci pensiamo bene, abbastanza peculiare. Il suo meglio l’ha dato a cavallo tra anni ’80 e ’90; il mio preferito Let Love In, ad esempio, compie nel 2024 la bellezza di trent’anni; le Murder Ballads che, anche grazie al successo della collaborazione con Kylie Minogue, gli dettero un accesso alle classifiche e una prima visibilità fuori dal circuito indie, arrivarono due anni dopo, nel 1996.

All’epoca, nella band militavano Blixa Bargeld e Mick Harvey; il primo ha lasciato i Bad Seeds (denunciando, a distanza di tempo, l’assenza di dinamismo e partecipazione in studio) all’epoca di Nocturama, all’inizio degli anni ’00, e il secondo, eccellente arrangiatore, a fianco di Nick Cave dal tempo memorabile e sulfureo dei The Birthday Party, nel 2009. Mick Harvey, al contrario di Blixa Bargeld, ha spiegato estensivamente le ragioni dell’allontanamento fra lui e Nick Cave. Enter Warren Ellis, che già aveva curato gli archi in Let Love In, e che da allora gradualmente è divenuto sempre più importante nell’economia del suono dei Bad Seeds, e più ancora come spalla di Nick Cave nei progetti da solista, o a nome di entrambi, o ancora nei Grinderman. Vero è che nei Bad Seeds sono entrati e usciti diversi nomi (Kid Congo Powers!), ma nel 2018 la morte del tastierista/pianista Conway Savage ha tolto un elemento importante nella band.

Il successo di Nick Cave

Dunque, Nick Cave arriva al massimo del successo tardivamente, a causa di una serie di circostanze dolorose, come la morte del figlio Arthur nel 2015, che spingono pubblico e media ad accrescere il proprio interesse; insieme a una campagna di autopromozione che si poggia anche sulla tragedia (a partire dal documentario One More Time With Feelings), poi su un nuovo modo di stare sul palco, cercando la comunione con il pubblico – già in nuce nei live successivi a Push The Sky Away, che a seconda di chi guarda può andare dal catartico al piacione -, sulla presenza nei media, sui Red Hand Files, con il loro curioso mix di poesia e di ‘consigli di Nonna Papera’.

La stringa di album post 2015 ha ricevuto pareri alterni, a partire dalle pagine del nostro web magazine. Per alcuni la collaborazione serrata con Ellis ha sottratto le dinamiche dei Bad Seeds rendendone noioso il suono; per altri avrebbe consentito a Cave di trovare una nuova strada valida quanto quella passata; senza nemmeno contare l’esercito di stans che lo considerano già santo e per i quali qualsiasi dubbio sulla bontà della sua produzione corrente è un crimine di lesa maestà (generalmente gli stans lo hanno scoperto circa 2015).

Wild God è stato preceduto da tre singoli scelti bene perché illustrano abbastanza di cos’è composto il suono di Nick Cave & The Bad Seeds nel 2024. Premettiamo che non c’è un vero e proprio ‘ritorno della band’ come ci si attendeva: Nick Cave e Warren Ellis producono e firmano tutti i pezzi; al basso c’è spesso Colin Greenwood, e Luis Almau è alla chitarra; Thomas Wydler, Martyn P. Casey, Jim Sclavunos, George Vjestica ci sono qui è lì nei credits, ma senza esagerare.

I tre singoli tratti da Nick Cave & The Bad Seeds – Wild God

Wild God potrebbe essere un outtake di Abattoir Blues: con il sapore gospel e il call and response, certamente risponde a un gusto acquisito, ma  mi pare efficace ed è anche il momento più immediato del disco. Conversion è sullo stesso stile, sebbene con una lunga e lenta introduzione, esplode bene nel finale. In conclusione al disco As the Waters Cover the Sea si ispira anche al gospel, ma con i cori che sovrastano la voce solista risulta abbastanza piatta e priva di afflato emotivo, il contrario di quello che dovrebbe ottenere.

Frogs, il secondo singolo, mi aveva ricordato come primo impatto i paesaggi musicali dell’Australia originaria, pensiamo ai Died Pretty o ai Triffids, e anche se non è particolarmente articolata, fa meglio di altri brani del disco sulla falsariga, come Cinnamon Horses, dove tornano gli arrangiamenti di synth ed effettacci targati Ellis che mi sono insopportabili. Il peggio in questa categoria arriva con Joy, terribile già nel testo: And over by the window, a voice came low and hollow Spoke into my pain, into my yearning sorrow Spoke into my pain “Who is it,” I cried, “What wild ghost has come in agitation?” “Who is it,” I cried, “What wild ghost has come in agitation? “It’s half past midnight! Why disturb me so late!” And then I saw a movement around my narrow bed (“E vicino alla finestra, una voce bassa e vuota parlò al mio dolore, alla mia brama di tristezza. Parlò al mio dolore. ‘Chi è,’ gridai, ‘Quale spirito selvaggio è venuto in agitazione?’ ‘Chi è,’ gridai, ‘Quale spirito selvaggio è venuto in agitazione? È mezzanotte e mezza! Perché disturbarmi così tardi!’ E poi vidi un movimento intorno al mio stretto letto.”)

Il terzo singolo di Wild God è Long Dark Night,  una bella ballata come tante firmate Nick Cave & The Bad Seeds – che però ne hanno firmate di migliori. E anche di questo genere se ne trovano altre nel disco, molto buone come Final Rescue Attempt, meno buone e assai banali come O Wow O Wow (How Wonderful She Is), nella quale ci si sente presi emotivamente in ostaggio dall’arrivo delle voce di Anita Lane, alla quale è dedicata.

I testi

Così com’è molto alterno sotto il profilo musicale, Wild God lo è anche per quanto concerne i testi, mentre preferisco soprassedere sulla bruttezza della copertina. Ci sono momenti migliori come Frogs, con il richiamo a  Kris Kristofferson e alla sua Sunday Morning Coming Down, in cui si descrive la solitudine di una domenica mattina, speculare a quella cantata da Cave; oppure come l’iniziale Song of the Lake, nella quale le meditazioni dell’ormai anziano protagonista sul bordo del lago vorrebbero ripensare alle filastrocche gioiose del passato (All the king’s horses) ma non arrivano a completarle: And he sang the song of the lake And all the king’s horses— Oh Lord, never mind, never mind (E cantò la canzone del lago E tutti i cavalli del re— Oh Signore, lascia perdere, lascia perdere). Peraltro Song of the Lake, con il suo alternarsi fra parlato e cantato, in apertura del disco, è un altro dei momenti migliori.

In conclusione

Un voto bisogna darlo, ma come si misura un disco quale Wild God? A confronto del panorama musicale odierno? A confronto con la produzione passata di Nick Cave? Rispetto alla voglia di tornare ad ascoltarlo, forse? che rimane, sebbene saltando a piè pari e senza rimpianti diverse tracce, e insieme apprezzando la possibilità di ascoltare ancora una volta una voce che bene o male mi ha accompagnata da quattro decenni a questa parte.

Nick Cave & The Bad Seeds – Wild God
7,2 Voto Redattore
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Mi piace la musica senza confini di genere e ha sempre fatto parte della mia vita. La foto del profilo dice da dove sono partita e le origini non si dimenticano; oggi ascolto molto hip-hop e sono curiosa verso tutte le nuove tendenze. Condividere gli ascolti con gli altri è fondamentale: per questo ho fondato TomTomRock.

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