Il ritorno sorprendente dei No-Man.

Lo ammetto, io son stato fedele fanatico dei No-Man dalle prime emissioni sino a poco dopo Flowermouth, che era praticamente un album dei Japan senza Sylvian. Poi le derive che il duo Bowness (Tim) e Wilson (Steve-remasterizzoognicosa) prese non andarono più incontro al mio sentire. Due album introspettivi che ritenni segnale di stanchezza di un moniker i cui singoli componenti avevano oramai preso direzioni diverse, tra le collaborazioni colte di Bowness con, tra gli altri, Henry Fool ed il primo solo con ex Japan e il neopinfloyadenismo con tracce crimsoniane di Wilson, sia con i Porcupine Tree che da solista… Ma la mancanza dei No-Man si è fatta sentire. Quindi non è che fossi proprio sulle spine in attesa del nuovo album del due sotto l’antica egida ma, per sentimentalismo alla pizzaiola, ho comunque deciso di ascoltarlo nel giorno della sua uscita e BOOM!
Due suite per No-Man – Love You To Bits
Diviso in due suite, Love You To Bits (5 movimenti) e Love You To Pieces (5 movimenti), è una celebrazione contagiosissima, un inno all’amore, dal suo embrione al suo disfacimento, nella sua interezza anche quanto lo si sezione e, soprattutto, un capolavoro elettrotranceambientdance che non sfigurerebbe al fianco dei grandi classici della disco del passato.
D’altronde, già la sfera a specchietti della copertina dice tutto ma, attenzione, qui i riferimenti sono tantissimi e coltissimi.
Love You To Bits fra disco e psichedelia: geniali No-Man
L’approccio nella suite iniziale richiama il Moroder della prima Donna Summer. Echi di psichedelia nell’uso delle chitarre, una sorta di Tubular Bells per i piedi che non c’entra assolutamente niente con il passato recente dei due ma che, semmai, si rifà alla loro primissima uscita Loveblows & Lovecries – A Confession. Quindi anno 1993, dove in pieno grunge e camicie a scacchi, i No-Man giocavano invece a consolidare un’estetica della decade passata mooolto gradevole e lievemente danzereccia.
Love You To Pieces
Nella seconda suite, il gioco si fa più duro, il tema portante è comunque presente e reiterato ma, in questo caso, filtrato attraverso un’estetica sonora che passa dai Tangerine Dream di Phaedra sino ai funghetti degli Orb. Insomma, un trip ambient, talvolta in quattro quarti, che non lascia tregua sino al conclusivo riposo del guerriero lievemente Buddha bar del segmento conclusivo. Ormai si sa che non mi entusiasmo quasi più per niente ma quindi son già al 4° ascolto di seguito, vedete voi, anzi sentite. E speriamo in un seguito veloce…
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