
Pasqual Piñón fu, a inizio ‘900, un freak circense noto come “il messicano con due teste”. In realtà Piñón aveva una sola testa sormontata da una spropositata ciste e decorata con occhi, naso, bocca e forse barba. Roba non da stomaci delicati, comunque.
Pascal Pinon sono invece due gemelle islandesi ventenni, Jófriður e Ásthildur Akádóttir, e il loro aspetto giovane e gentile pare poco affine al nome scelto. Questo a meno di non ipotizzare con un certo ardimento che il povero Piñón rappresenti una sorta di simbolo dell’unicità di pensiero nelle teste di due gemelle.
Sundur è il “difficile terzo album”
Comunque sia è proprio quest’idea di unicità nel profondo che ha portato alla nascita di un insolito esempio di “difficile terzo album”. Qui il problema non è la consueta latitanza dell’ispirazione. Dopo la pubblicazione del secondo lavoro (Twosomeness, un manifesto emotivo fin dal titolo), le due si sono per la prima volta separate. Ásthildur è andata a studiare composizione ad Amsterdam e Jófriður ha conosciuto buon successo internazionale con il trio techno Samaris. Ecco dunque che Sundur va considerato il resoconto di una riunione non solo artistica.
Anche stavolta significativo è il titolo, prima metà del proverbio islandese “sundur og saman” (separati e insieme). Ci si poteva dunque aspettare un’ispirazione all’insegna della gioia del ritrovarsi. Invece l’enfasi pare posta sulla rottura, per quanto temporanea, di un legame profondo. Non a caso, arrangiamenti e suoni risultano più essenziali, quasi prosciugati. Le canzoni (parte in inglese parte in islandese) hanno un’aria delicatamente austera: poche note di piano, ritmiche semplicissime, rumori da pascolo di montagna. Significativo anche il verso d’apertura: “Due cuori battono a un ritmo diverso”.
Pascal Pinon: brave, ma qualcosa manca
Si potrebbe parlare di gentilezza problematica, di pop sognante, strano e fascinoso. Al tempo stesso però alcune canzoni tendono a scorrere come acqua sulla roccia, poetiche ma troppo fuggevoli. Oppure soltanto troppo sommesse per farsi notare. Fa eccezione, verso la fine, Babies con il suo andamento solenne a cui le due voci donano un’aria misteriosa e che un po’ fa pensare a un altro duo di giovani donne, Let’s Eat Grandma. Peccato risulti un episodio isolato e non dia l’idea di essere un’indicazione per il futuro.
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