Polychron + - She’s Always Been There

Il duo Polychron + in ottima compagnia nell’eccellente She’s Always Been There.

Che grandi cose sta portando questo autunno ristretto…e che gran disco questo She’s Always Been There dei Polychron + (Totem & Taboo – Materiali Sonori), coerentissima colonna sonora di paesaggi interiori per chi li sa ancora osservare. Che poi il loro nome derivi da antico monastero bizantino è svelabile dalla capacità messa in atto nella realizzazione del disco che trova, nell’arte omonima, degna moderna rappresentazione aumentata da un meritato plus. Il duo composto dai templari pistoiesi Aurelio Menichi e Gabriele Gai, già alfieri situazionisti del suono con Dubital, Lord Chapeau, Smoke Signals, Vinylistic, nomi che agli addetti a musiche alte diranno senz’altro ben più che qualcosa, con sapienza alchemica traggono dalla loro indubbia capacità di sinergie aurali un album con un impressionante cast perlopiù proveniente dall’area labelistica di Les Disques Du Crepuscule e Crammed e che,n onostante la eterogeneità delle origini, regala un monumento cybernetico compatto e dirompente.

Molti gli ospiti di pregio

L’Overture, che titola programmaticamente il primo brano, è affidata alla voce del soprano e sperimentatrice teatrale Carmen D’Onofrio, che funge da solitario coro greco per introdurci a Lighter Than The Blue, landscape emozionale declamato e cantato da Blaine L.Reininger, da poco autore di uno dei dischi più belli dell’anno e che aggiunge alla tavolozza elettronica il suo violino atemporale portandoci in mnemoniche suggestioni di antica e moderna ambivalenza. Yeh-teh si spinge verso linguaggi che potrebbero appartenere a sperimentazioni cut up, addirittura si coglie la voce di Jon Lydon, suppongo piratescamente campionato, un veloce rap distorto su una base coltissima, una fuga di mezzanotte post-classica. Pocketknife vede invece tornare uno dei miei sonori amori, Anna Domino, fautrice di delizie a 33 giri in casa Crepuscule, che pure in questo caso si conferma elegantissima chanteuse anche grazie ad un supporto musicale elaboratissimo nella sua, solo apparente, semplicità elettrobarocca.

Luc Van Lieshout, anche egli di Tuxedomoonico allunaggio, soffonde Late con la sua inconfondibile sonorità di passione e fiato, una microlatineggiante meraviglia che introduce la successiva Morbid Love, strumentale che sa di celluloide e dune, sonorità che vedono ospite Daniele Biagini e il suo pianismo liquido che già conobbi nel Brown Plays Tenco e che mi conducono in quell’Interzona che non frequentavo da eoni.

Con Polychron + – She’s Always Been There torna la new wave degli anni gloriosi

Qualcuno ricorda l’esperienza Violet Eves? Nel brano Alaska Drive canta NicoNote che altri non è che la grande Nicoletta Magalotti che della band fu voce e anima negli anni ruggenti in cui – anche qui nel ex belsuol natio – la scena new wave italiana regalava chicche prestigiose ed intriganti. Anche questo brano ha un respiro europeo che meriterebbe ampia filodiffusione… E giusto per continuare con quel tipo di scena, dai mai dimenticati Pankow, ecco Alex Spalck che in Twist The Knife dimostra voce atemporale e ci riporta indietro verso un domani promesso ma non sempre mantenuto, pulsioni elettroniche e sferzate sintetiche per cieli grigi.

 

Altra grandissima, per il sottoscritto, madeleine è la cover di Tij-U-Wan dei fondamentalissimi Gazneveda che, poiché il caso non esiste, sto da qualche settimana riascoltando in heavy rotation. Versione originalissima e personalissima che innalza il mio livello di benza… Gum,Le Blue Jar invece è farina raffinatissima del duo che dimostra, come nella succitata Yeh-Teh che anche senza super featuring la qualità della proposta è inusitata e con pochissime pietre di paragone.

Il buon Reininger torna su Piano Astrale a commuovermi con il suo italiano declamar e mi riporta alle primissime emissioni della sua compagine, Desire, su tutte e quel verso “sono figli dell’età silente” è da brivido per chi ricorda da chi proviene… Chiusura nuovamente affidata all’inflessione culturale e teatrale che Alex Spalck regala a Lo Scrigno D’oro su respiri sintacustici e che chiosa con completezza un’opera finalmente dal respiro oltreconfini.

L’impressione che Polychon + siano una premiata (e consigliatissima) sartoria sonora dove, a seconda dei modelli cantori che indossano le loro note e indipendenti modelli a loro volta, creano una griffe immediatamente identificabile è confermatissima. Album da possedere fisicamente, in qualsiasi senso lo si intenda, e per i suoni e per il concept grafico di perturbante bellezza.

Polychron + - She’s Always Been There
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Collaboratore per testate storiche (Rockerilla, Rumore, Blow Up) è detestato dai musicisti che recensisce e dai critici che non sono d'accordo con lui e che , invece, i musicisti adorano.

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