Un nuovo disco che fa rumore: Porridge Radio – Every Bad.
Every Bad è il nuovo album di una band che farà parlare di sé. * Porridge Radio, evitiamo qualunque articolo (a seguire si capirà il perché), nascono nel 2015 e dopo qualche anno di lavori autoprodotti, nel 2020 puntano in alto ed escono, sotto l’ala della Secretly Canadian, con un disco decisamente interessante. Frontwoman la giovane e talentuosa Dana Margolin da Brighton che, dopo aver messo insieme una band tutta al femminile, tranne che per il batterista, si appresta a conquistare pubblico e critica.
I temi e i testi
Nell’ambito LGBT inglese * Porridge Radio sono già un’icona. I testi si rivolgono a un pubblico gender fluid e a detta della stessa Dana: “è bello che nei miei testi ognuno veda quello che vuole”. E proprio il modo di scrivere di Dana ci pone di fronte a orizzonti inesplorati. Tematiche di fine adolescenza, dolori, sentimenti contrastanti e corpi a disagio vengono trattate in maniera poetica e tardo-romantica invitando a una sorta catarsi collettiva postmoderna. Il tutto a ritmo di un rock che, per quanto non rappresenti niente di nuovo, sprigiona entusiasmo, intensità, energia e altri requisiti che da tempo mancavano nell’ambito.
Every Bad: il rock secondo Porridge Radio
Undici canzoni che scaturiscono dall’insieme dirompente – e al tempo stesso classico – di chitarra, basso, batteria e voce. Una bomba di adrenalina che arriva, speriamo in tempo, a scuotere un genere musicale che pare avere il fiato corto. Every Bad parte con due brani laceranti che anziché angosciare sfoggiano, loro malgrado, una botta di vitalità. La voce domina e conduce il gioco, che è quello di farci muovere su vecchie armonie dark (il rimando a un giovane Robert Smith sorge spontaneo) o new wave, ma senza rimpianti.
Born Confused, Sweet e, a seguire, Long potrebbero rappresentare un nuovo punto di partenza. Se il ritmo è tirato la melodia non fa una piega. Non mancano i momenti più delicati tra i quali spicca senza dubbio Lilac, che arriva verso la fine dell’album e ne rappresenta uno dei passaggi più struggenti. Un tripudio di chitarre e archi stridenti ci esorta ad avere cura di noi stessi e di ciò che ci circonda, mentre il canto ci strazia meravigliosamente nel finale ripetendo compulsivamente: “I want us to get better, I want us to be kinder, to ourselves and to each other”. Dana Margolin e Co. centrano un obiettivo difficile con un disco incredibilmente maturo per una band tanto giovane.
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