I Putan Club dal vivo danno il meglio di sé: ecco perché celebriamo l’uscita di Filles d’Octobre.
Per chi ha assistito alle travolgenti, vulcaniche esibizioni live del duo italo-francese Putan Club, composto da François Cambuzat e Gianna Eylem Greco, vedere finalmente pubblicato un loro album dal vivo – Filles d’Octobre – è davvero la sorpresa più gradita che ci possa venire dalla band. Sorpresa perché la loro visione radicale e rivoluzionaria della musica li porta al rifiuto del mercato discografico e all’autogestione. Non hanno agente, ma riescono a collezionare circa 150 spettacoli l’anno in giro per il mondo.
Come già per il precedente Filles de Mai, uscito nel 2017, hanno scelto la piccola e agguerrita Toten Schwan Records che pubblica in sole 3.000 copie fra cd e doppio vinile (magnifica la qualità del suono) e garantisce che non verrà più fatta alcuna ristampa. Gradita sorpresa, si diceva, perché la dimensione live è quella che la band preferisce e quella in cui dà il meglio di sé in una sorta di frenetico rituale: crollano le barriere fra musicisti e pubblico e si viene totalmente coinvolti nell’esperienza musicale. Lontani da qualunque feticismo, prediligono l’esperienza effimera del concerto per lasciarlo vivere nel ricordo di chi l’ha vissuto.
I Putan Club e l’esperienza live
Ho assistito a diverse performance del Putan Club uscendone ogni volta travolto emotivamente e fisicamente, un rito anarchico e ribelle che sputa in faccia al potere e ai suoi miserabili servi, un urlo contro la società desertificata e consumista del turbo-capitalismo del terzo millennio, un sobbollire di rivolta e rabbia che ispira il basso prepotente e devastante di Gianna Greco e gli sferzanti riff di Cambuzat. Ecco tutto questo lo ritroviamo in Filles d’Octobre, che resta coinvolgente malgrado la mediazione del supporto discografico e il venir meno delle vibrazioni che dà il vivere un concerto insieme con altri. Ma si ha il vantaggio di poter meglio apprezzare l’approfondito lavoro del duo nella costruzione delle canzoni e degli arrangiamenti.
Un concerto registrato a Porto
Il disco è stato registrato questa estate all’Amplifest di Porto, un set di undici brani per quasi 90 minuti. Si inizia subito al fulmicotone con État du Capitalisme Français, furibondo hard rock spalmato di noise e industrial, una marcia ribelle e implacabile fra martellanti drum machine ed elettronica. Con Filippino il suono si fa urla di rabbia e dolore, un brano sulfureo e iconoclasta col basso di Gianna che vibra come cavi d’acciaio a cui sono appesi i valori marciti dell’Occidente.
Il live dà ancora maggior vigore a Sens la Morte e Filles de Mai, unici brani dal disco in studio, mentre il torrido irresistibile funk tribale di Lavo suona come Sly and the Family Stones interpretati dai Nine Inch Nails.
Il meglio lasciato in fondo
A questo punto la febbre si alza sempre di più, la dimensione rituale, selvaggia esalta la forza liberatoria del ballo in brani come l’irruento Arrah Arrah, straordinario il lavoro sulle voci che ci rimanda ai loro progetti Ifriqiyya e Ndox Electrique, o Galoo Sahara Laleet El Aeed in cui il basso si arrotola, galoppa seguito da una tempestosa chitarra, per dieci minuti non capiamo se siamo in fuga oppure all’assalto fino al ribollente finale. Con Kancer si annidano nubi cupe e dolorose, ma il disco si chiude sulle sensuali ed evocative sonorità orientali di Bogaziçi, Bosforo in turco, e con le tumultuose fiammate di Meydüse, ma a questo punto il basso di Gianna ha già fatto saltare in aria Carrero Blanco e la chitarra di François ha chiamato a raccolta i ribelli della montagna!
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