Simone Felice, The Projector e i geni di famiglia.

Una cosa bella e rassicurante dell’ascolto musicale è la presenza di nomi-garanzia. Artisti con i quali vai sul sicuro, che non ti tradiranno mai. Anche nei passaggi sottotono qualche raggio della loro luce attraversa il buio. (Nel caso di Leonard Cohen il discorso vale persino per Death Of A Ladies’ Man…)
Il talento naturale dei Felice Brothers
Per chi scrive esiste persino un nome-garanzia allargato a un’intera famiglia: quella dei fratelli Felice. Dagli esordi a oggi tutti i dischi a nome Felice Brothers hanno una forza interiore che va al di là delle variabili stilistiche applicate di volta in volta (folk, Americana, alt-rock…). Qualche mese fa l’album solista di Ian Felice, In The Kingdom Of Dreams, è stato un affascinante caposaldo di quel suono del dolore che caratterizza molta musica recente.
Arte e vita di Simone Felice
Quanto a Simone Felice, diciamo che meriterebbe un saggio a parte. Viso da attore (ambito Vincent Gallo, Joaquim Phoenix), romanziere dalla vita romanzata (due volte vicino alla morte) e richiesto produttore discografico. Il nostro è poi musicista di talento sia con i Felice Brothers (di cui non fa più parte) sia nel duo Duke & The King, sia come solista. Se il precedente lavoro a proprio nome, Strangers, era stato un ottimo esercizio di stile tra folk-pop e rock, The Projector sale diversi scalini quanto a forza evocativa.
The Projector: un album di grande forza espressiva
Le canzoni si espandono in modo quasi impercettibile (The Projector) oppure si muovono subito in spazi vasti (The Fawn) oppure restano immobili in una desolazione melodicamente struggente (Hustler). E questi sono solo i primi tre pezzi. Ma anche quando gli accordi girano in ambiti risaputi intervengono in aiuto le tastiere mai ovvie di Four Tet, controcanti femminili, e quell’espressività naturale che sembra risiedere nel DNA familiare.
Chi era rimasto un po’ spiazzato da certe uscite tra il deludente e il controverso in ambito autorial-alternativo (Josh T. Pearson, The Decemberists, Eels), può qui trovare conforto, rassicurazione e il ben conosciuto piacere nel pathos. E poi Simone Felice è uno che con le parole ci sa fare in un contesto che potremmo definire realismo visionario. Un esempio: “Sapete, tutte le ragazze orfane cambiano i loro vecchi nomi in Crystal o Destiny. C’è un uomo che loro chiamano Il Principe e fanno girare il suo numero di telefono. Dice che le può far salire su un aereo per il Kennedy”.
A questo punto un nuovo disco di Simone e i suoi fratelli potrebbe essere una bomba. Il capolavoro di famiglia.
Be the first to leave a review.