Sleater Kinney 1994 – 2024: trent’anni e non sentirli!
Rob Sheffield, noto giornalista, musicologo e musicofilo statunitense, tempo fa definì le Sleater-Kinney miglior band pop-rock americana di sempre. Vero o meno, le ragazze compiono quest’anno trent’anni di carriera tagliando il traguardo in forma smagliante. Ormai ridotte a due elementi, dopo l’uscita dell’ottima batterista Janet Weiss nel 2019, Corin Tucker e Carrie Brownstein procedono senza sentire la fatica. Stiamo parlando di una band che ormai ha tutte le carte in regola per lasciare il segno in un ambito sempre liminale tra l’indie, il pop rock, il post-grunge e il mainstream.
Come è nato Little Rope
Little Rope (Loma Vista) è l’undicesimo album in studio delle Sleater-Kinney, e a guardare dal parterre di collaboratori, si presenta carico di aspettative. La produzione è affidata a John Congleton già al lavoro con nomi quali Blondie, Laurie Anderson, St. Vincent, Anthony Hegarty, Angel Olsen e tantissimi altri. Chitarre e keyboards sono consegnate a Dave Depper, meglio noto come Death Cab For Cutie. Janet Weiss al momento è sostituita dalla giovane e talentuosa batterista newyorkese Angie Boylan.
L’album è in parte ispirato e influenzato dalla morte della madre, e del padrino, di Carrie Brownstein in un incidente d’auto durante una vacanza in Italia lo scorso anno. L’elaborazione del lutto ha avuto un impatto importante sul lavoro complessivo e il risultato è un disco più solido e brillante (anche se non mancano passaggi inquieti) rispetto all’ultimo Path Of Wellness.
Le nuove canzoni
Little Rope è stato anticipato dai singoli Hell e Say It Like You Mean It, due “songs”, più rock e acuminata la prima e più pop-sofisticata la seconda, che costituiscono un ottimo biglietto da visita. Interessanti anche i relativi video realizzati con la partecipazione di Miranda July e J. Smith-Cameron. Nelle dieci tracce dell’album si intuisce tutto il passato, a volte accidentato, delle Sleater-Kinney che oggi guardano avanti strizzando l’occhio a sonorità glamour, elaborate tramite la passata collaborazione con St. Vincent, e a un rock “garbato” reso ineccepibile grazie allo spiritaccio del re Mida John Congleton. Tra i brani più interessanti, oltre ai già citati singoli, spicca senz’altro Needlessly Wild con un incedere dance new-wave anni ’80 assolutamente irresistibile. Ancora reminescenze eighties in Small Finds dove un sound alla Talking Heads dà una sferzata di energia a metà percorso. Stessa cosa accade in Crusader con una melodia più catchy. Chiude il tutto l’ultimo singolo uscito insieme all’album: Untidy Creature, una ballata rock che lascia ben sperare per il futuro di una band che può ancora sorprendere.
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