Un terzo disco che sorprende: Slowthai – UGLY.
È una progressione esemplare quella che porta Slowthai dall’esordio di Nothing Great About Britain fino a UGLY, passando per TYRON: un disco ogni due anni, dal 2019 a oggi. Non è propriamente un ritorno alle origini quello di Slowthai con UGLY, perché al giovane artista di Northampton evidentemente piace la flessibilità. Il punk-rap delle prime canzoni (penso soprattutto a Doorman) in TYRON mi sembrava crescere in una scrittura più rifinita e comunque sempre molto personale, mostrando una destrezza come rapper ancora acerba nel primo. Tutto avrebbe lasciato pensare a una evoluzione in quel senso, e invece Slowthai che fa? Prende un produttore di peso nella scena indie e rock, qual è Don Carey, e con lui realizza un terzo disco nel quale il rap è parzialmente messo da parte, inserendosi piuttosto nella traccia dei vocalist punk e post-punk che declamano e cantano con melodica asprezza.
La title track con i Fontaines D.C.
Non è un caso se la title track, che è probabilmente il pezzo migliore di UGLY, veda Slowthai in compagnia dei Fontaines D.C. U-G-L-Y- è, oltre che la parola nel suo significato letterale, ricorrente nel testo, un acronimo che sta per ” You’ve got to love yourself / Devi amare te stesso“; sebbene il brano sia stato composto pensando alla guerra incombente, rispecchia anche i tentativi di “pensare positivo” del nostro, da poco padre, ma con alle spalle una vita difficile dettagliata soprattutto nel primo LP, nonché con un passato prossimo nel quale autogestirsi pare non sia sempre stato facile per lui.
Le atmosfere del disco
Così, il disco alterna momenti di cupezza infinita con altri in cui la rabbia esplode, e infine con quelli più upbeat. Nella prima categoria non si può non citare l’apertura con Yum, electro-punk ansimante che si conclude in un delirio cacofonico. Nella seconda ci mettiamo senz’altro Selfish e Wotz Funny, che riprendono la verve di Doorman e apparentano Slowthai con, ad esempio, gli Sleaford Mods. I Feel Good, accompagnata da un video simpatico, ovviamente appartiene alla terza; ma soprattutto una nota positiva viene dalla conclusiva 25% Club, una ballata insolita, toccante: come ha detto Slowthai per spiegarne il senso, penso che siamo il 75% di una persona e ci manca il 25%. Ecco cos’è il “Club del 25%”: è il luogo in cui arrivano tutte le persone a cui manca quel qualcosa, e tu trovi il tuo altro 25% e quello è il pezzo che ti fa sentire completo.
Nel disco c’è molto altro, sicuramente è un caleidoscopio della musica che piace a Slowthai: vengono in mente i Pixies che ispirano Falling e magari anche Tourniquet, con l’alternarsi fra momenti di quiete e noise. È un disco che spiazza, UGLY, almeno per chi (come me) attendeva il seguito di TYRON. Certamente, anche se apparentemente immediato, ha bisogno di essere assimilato un po’ per volta. Ciò che il “nuovo” Slowthai mantiene in comune con il suo passato è la capacità di raccontarsi come individuo all’interno però di una condizione sociale, nonché la capacità di farlo con toni vividi, parlando il linguaggio del suo tempo, che sia il rap di TYRON o l’electro-punk di UGLY.
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