Nostalgia Stereophonics: Make ‘em Laugh, Make ‘em Cry, Make ‘em Wait.
Ti volti indietro e trent’anni sono passati. Già, perché gli Stereophonics fra poco giungeranno a tagliare il traguardo delle trenta candeline, con il loro album di debutto Words Get Around, uscito nel 1997. Da allora, acqua sotto i ponti ne è passata. Canzoni iconiche, inni da stadio e grandi successi commerciali hanno accompagnato una carriera senza fronzoli o strani vizi. Ha vinto sicuramente la loro attitudine da ragazzi genuini, rocker di strada che incontreresti volentieri in un pub inglese, a bere qualche birra e vedere una partita di Premier League.
Una band da primo posto
Anche Make ‘em Laugh, Make ‘em Cry, Make ‘em Wait è realizzato dagli Stereophonics con quella modalità, nei testi e nelle musiche. Il disco contiene solo otto tracce e promette di essere un album di rinascita e speranza, con una svolta nel loro stile smaccatamente rock. Una formula che si è dimostrata vincente, considerando il primo posto già conquistato nelle chart inglesi. Non che sia una novità per loro, se si considera che gli Stereophonics ora raggiungono i Take That e Bob Dylan nella classifica degli artisti con il maggior numero di album al primo posto nel Regno Unito.
L’album si apre in grande stile con Make It On Your Own, un brano sulla resilienza: Allacciate le cinture / è ora di andare in quei posti in cui non volete andare / Niente dura per sempre. Accompagnata dalla voce roca e rauca di Kelly Jones, la band punta sulla semplicità, con una intro che rimanda a Springsteen — una scelta condivisa anche da Sam Fender con l’ultimo People Watching, e che si è rivelata vincente.
L’inizio di Make ‘em Laugh, Make ‘em Cry, Make ‘em Wait trova gli Stereophonics al top
L’impatto coinvolgente e mid-tempo continua col primo singolo There’s Always Gonna Be Something, un brano accattivante con un bel riff di chitarra lirico in primo piano. Ma è con Colours of October che Kelly Jones si concede un attimo di riflessione sulla forza di ricominciare, con un senso di partecipazione a un dolore universale: Ci voltiamo le spalle in segno di protesta / La bandiera bianca in questa guerra sembra senza speranza / La neve ricopre il mondo / una nuova pagina dal buio della notte e dalla rabbia.
Con Eyes Too Big for My Belly si cambia decisamente tono, virando verso sonorità rock-blues calde, a dimostrazione della grande versatilità di questa band (magari un altro paio di brani così in tutto l’album li avremmo graditi). Altro brano degno di nota è Backroom Boys, dove Jones riesce a riversare nel testo le sensazioni di innocenza e meraviglia vissute durante l’adolescenza, la scoperta del rock’n’roll come arma di salvezza contro i cellulari di oggi.
Make ‘em Laugh, Make ‘em Cry, Make ‘em Wait non è un album che cambierà la storia del rock, ma sicuramente è un ottimo prodotto di una band collaudata e ancora al top della forma. Sono canzoni leggere e profonde, costruite con mestiere e con parole dirette. Se cercate ancora un significato del rock come forma di intrattenimento e portatore di valori positivi, affidatevi alle mani degli Stereophonics: non ve ne pentirete.
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