Il ritorno degli inventori del brit-pop in versione punky: Suede – Autofiction
“Punky”. Così Brett Anderson, leader storico degli Suede, ha definito l’ultimo album della band britannica. Autofiction (BMG) è stato etichettato dalla stampa, all’unanimità, come l’album più punk degli Suede, ma “punky” potrebbe essere un termine più azzeccato. In effetti la nona fatica di Anderson e compagni ha un approccio più energico e grezzo dei precedenti lavori e le canzoni sembrano registrate direttamente da un concerto, senza dubbio un buon rientro dopo quattro anni di assenza dalla scena musicale. Stiamo parlando di una band che ha fatto la storia del brit-pop. Degli Suede si sa tutto e non c’è nulla da aggiungere. La loro musica ha attraversato tre decadi accompagnando generazioni di fan che aspettano ogni nuova uscita con entusiasmo e trepidazione. Esattamente trent’anni fa usciva il primo singolo, The Drowner, e l’anno successivo il primo album omonimo. Autofiction quindi festeggia decorosamente una carriera costellata da grandi successi e pochi scivoloni. Si parte con il rumore di una chitarra che viene collegata all’amplificatore quasi come a riportarci nella dimensione live che è mancata negli ultimi tempi.
Autofiction: le nuove canzoni e il vecchio marchio di fabbrica
La produzione degli undici nuovi brani è affidata a Ed Buller, primo produttore degli Suede, e qui si chiude un cerchio. Però la dimensione glam degli esordi è ormai andata da tempo, e oltre l’impronta di alcuni dei più importanti dèi del brit-pop (Pulp, Blur) si aggiunge un pizzico di rock appena post-punk che ci trasporta subito nelle atmosfere e nei suoni che hanno marchiato a fuoco la musica d’oltremanica negli anni ’90. Ma Autofiction non è un disco vintage. Gli Suede continuano il percorso che li ha resi celebri sfoderando una sempiterna freschezza infischiandosene delle etichette o dei ruoli in cui vengono incasellati. Rispetto a The Blue Hour adottano un approccio più diretto che sta ottenendo consensi.
Tra le nuove canzoni non si percepiscono innovazioni o particolari cambi di rotta. Siamo piuttosto di fronte a un lavoro in cui la band dimostra ancora una volta che quello che sa fare continua a farlo egregiamente. E se magari mancano brani da memoria, tipo Trash o Beautiful Ones, Autofiction è in grado comunque di scuoterci piacevolmente confermando l’indiscusso talento dei nostri. Quindi alziamo il volume e ascoltiamo di fila: She Still Leads Me On, 15 Again e The Boy On The Stage: un sorriso di approvazione sorgerà spontaneo!
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