Il quarto album dei Suflower Bean si intitola Mortal Primetime.
Si discute da tempo se il rock sia morto o meno. Non esiste più una scena come quella del rock psichedelico nei lontani anni Sessanta o del grunge, ultimo fenomeno collettivo con band unite da sonorità simili.
I Sunflower Bean, certo, hanno mille riferimenti. Che siano i Black Sabbath o i Tame Impala, la band newyorkese ha la capacità di sintetizzare tante influenze senza risultare mai la copia di altri. Vuoi per gli innumerevoli palchi calcati in più di dieci anni di rispettabile attività, vuoi per la personalità multitasking della leader Julia Cumming, con il sound del basso che ti arriva in faccia e la voce sempre reattiva. Insomma, di cazzimma i Sunflower Bean ne hanno da vendere.
Mortal Primetime: un momento di maturazione per i Sunflower Bean
Ma Mortal Primetime, quarto loro album, mostra una maturazione che si riflette anche nell’attitudine e nei testi. Alla base del cambiamento ci sono stati dissidi interni dovuti al trasferimento del chitarrista Nick Kliven da Long Island a Los Angeles, e al lancio di una nuova band, gli Star’s Revenge, da parte del batterista Olive Faber, che lasciava presagire una rottura definitiva. Invece la bassista e cantante Julia Cumming, che nel frattempo stava affrontando una separazione sentimentale, ha composto nuovi brani e convinto il resto della band a trasformarli in un lavoro ricco di idee fresche e stimoli creativi.
L’album si apre alla grande con Champagne Taste, un brano trainato da un potente e trascinante riff. Ha riferimenti alle Heart e a un certo suono AOR rock americano (dai Boston ai Cheap Trick, per intenderci), ma il trio sa evitare l’effetto copia. Con Nothing Romantic sembra che alle Heart si siano aggiunte le chitarre degli Smiths. E anche se Simon Reynolds li criticherebbe come parte della retromania in atto da decenni, possiamo assicurarvi che le canzoni dei Sunflower Bean sono ben costruite. In Waiting for the Rain, brano pop rock dalle atmosfere sognanti, Kliven non solo canta ma si lancia anche in un assolo “alla vecchia maniera”, ormai raro nelle band indie contemporanee.
Partiti dalla pura nostalgia, i Sunflower Bean compiono un deciso passo avanti
L’attitudine retrò e malinconica del disco rappresenta il terreno ideale su cui Julia Cumming e i suoi compagni possono esprimere una maturità ormai raggiunta. Dieci anni di attività e coesione si combinano con esigenze espressive più profonde, non più vissute come semplice esercizio di stile. Così il violoncello e il piano di brani come I Knew Love, o gli archi e i cori di Please Rewind, diventano segno di una raffinatezza che completa il quadro sonoro dei newyorchesi. Senza dimenticare la lezione shoegaze – dalle parti degli Slowdive – che riaffiora in Sunshine, che chiude l’album con una cura dei suoni mai banale e canzoni che si rivelano una vera panacea contro il logorio della vita moderna.
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