Il disco cangiante dei Decemberists.
A volte bisogna aspettare. Poco tempo fa, recensendo l’incerto The Deconstruction degli Eels, si era parlato di una qualche crisi del mondo alt-rock, citando fra i casi esemplari proprio I’ll Be Your Girl dei Decemberists. In effetti la prima impressione era stata quello di un lavoro con ambizioni mainstream ancor più evidenti rispetto al precedente What A Terrible World, What A Beautiful World. Fin qui niente di male, non fosse che tali ambizioni avevano prodotto un lavoro tronfio, goffo e fin troppo allineato all’odierno revival degli anni ’80 più sintetici. Il nadir pareva rappresentato dal brano intitolato Skywatcher e dai suoi ammiccamenti agli Yes di Tormato. Sì, proprio quelli del tremendo prog-pop per le masse.
I’ll Be Your Girl e le affinità elettive
Trascorsi alcuni giorni e riascoltato l’album, l’assunto resta vero, inclusa la sinistra reminiscenza yessiana. Però c’è qualcosa di talmente sopra le righe, e al tempo stesso sghembo, in I’ll Be Your Girl che, dopo un po’, il fastidio lascia il posto a un senso di affinità elettiva. Ovvero, i Decemberists sono e saranno sempre “dei nostri”, sempre indie nell’anima. (D’altronde basta guardarli per capire che come rockstar sono una sciagura.)
Il cambiamento di prospettiva prende il via soprattutto da un elemento. La voce tra lo stentoreo e lo sgraziato di Colin Meloy, leader indiscusso del gruppo, proprio non c’entra nulla con la produzione possente predisposta dal modaiolo John Congleton. Eppure è proprio la voce a dare spontaneità a suoni tanto costruiti e, quindi, a tutta l’opera. Una forma di sobrietà nella grandeur che è mancata, ad esempio, agli Arcade Fire in un album comunque notevole quale Everything Now.
Sympathy for The Decemberists
Una volta chiusa la porta del fastidio e aperta quella della simpatia, non si può che provare affetto per i buffi cori femminili di Your Ghost, per il sovraccarico boogie alla Marc Bolan di We All Die Young, per la disco poco ballabile di Severed o per i synth da medioevo modernista di Cutting Stone. Persino la vituperata Skywatcher si ascolta con divertito piacere. E quando arriva l’epos sconfinato e sconsiderato di Rusalka Rusalka / The Wild Rushes il coinvolgimento emotivo è cosa fatta. Con un po’ di vergogna da parte dell’ascoltatore, ma pazienza.
A proposito di vergogna, come mai i Decemberists non si sono vergognati per quella copertina inguardabile?
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