Sette anni fa, ai tempi del primo album ufficiale Tonight At The Arizona, i Felice Brothers sembravano la Band dei Basement Tapes, non solo nel suono ma anche nell’aspetto. Visti da vicino uno era il clone di Garth Hudson, uno la fotocopia di Levon Helm e così via. Anche i vestiti davano l’idea di essere datati 1967 e con pochi lavaggi all’attivo da allora. Il tempo è passato, Simone Felice ha iniziato una proficua carriera solista e i suoi fratelli e amici si sono abbastanza allontanati dai canoni ‘bandistici’, addirittura proponendo, nel precedente Celebration, Florida, sghembi linguaggi rock.
Il nuovo Favorite Waitress suona come un rientro nel recinto alt-folk, un arretramento che, sulle prime, è causa di una certa delusione. Poi però escono fuori le canzoni e si scopre che sono molto meglio strutturate rispetto al passato e anche se le colpisse un fulmine (come accadde durante le sessions di Tonight At The Arizona) non si farebbero nulla. Subito ti emoziona un pezzo solo, poi un altro, poi un altro ancora e alla fine ti piace tutto il disco. Come una fioritura, insomma.
E c’è anche questa sensazione di stralunatezza sensata, di allegria con una vena di tristezza – e viceversa – e di un generale senso di conciliazione degli opposti (i cori impeccabilmente debordanti) che è sovente la materia di cui sono fatti i dischi che lasciano un segno duraturo.
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