I Felice Brothers nelle vene di un’America che non cambia.

Oh, i Felice Brothers degli inizi… Sembravano arrivare dritti dal casting per un film sulla Band: uno monumentale come Garth Hudson, uno affilato come Levon Helm, uno con l’aria furba come Robbie Robertson e così via. Nel loro primo ristorante italiano leggevano il menu con l’aria di chi scopre l’esistenza di un nuovo mondo oltre a bistecca e fagioli.
I Felice Brothers fra passato e presente
Ci volle poco a scoprire che erano più sofisticati di come apparivano e che la loro musica roots ruvida e passatista, anzi arcana, era al tempo stesso spontanea e studiata. Perso per strada Simone Felice (oggi solista), il gruppo di fratelli e amici registrò nel 2011, l’album Celebration, Florida, che univa al folk ritmiche hip-hop e altri tocchi sonori alieni. Il fatto che il brano migliore, Ponzi, raccontasse la crisi finanziaria del 2008 (associandola in modo geniale alla figura d un truffatore anni ’20) diceva che i Felice Brothers erano sbarcati nel presente e ci stavano bene.
Poi i nostri hanno intrapreso un percorso circolare che tramite Favorite Waitress, due anni fa, e Life In The Dark ora è ritornato alle origini di Tonight At The Arizona. Violini, fisarmoniche, batterie che suonano come fossero di cartone, studio di registrazione trasferito in una fattoria e frequentato anche dalle locali galline. Potrebbe trattarsi di una scelta, per così dire, difensiva, specie in questi mesi in cui gli Stati Uniti sembrano essere diventati un tiro al bersaglio collettivo e a breve saranno guidati da un presidente, comunque vada, pericoloso.
Le cronache dal disastro di Life In The Dark
In realtà Life In The Dark è un disco che vive in una sorta di presente continuo, proponendo una galleria tra reale e surreale di personaggi variamente disadattati che sono poi quelli che si incontrano, tristi, obesi, col carrello pieno di schifezze e (quasi di sicuro) con un’arma in tasca in ogni mall del paese profondo.
Le canzoni sono di maniera nello stile (tra folk e folk-rock), ma scritte bene e con alcuni vertici assolutamente struggenti (Jack In The Asylum, Sell The House). Peccato solo che il canto dylaniano del magro Ian alla lunga tende a risultare faticoso e non venga mai avvicendato, come accadeva invece in passato, da quello del fratellone James.
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