Marc Almond torna con The Loveless.
Alzi la mano chi, appassionato di musica, non abbia sognato almeno una volta di mettere su un gruppetto di amici e cimentarsi con le canzoni della sua giovinezza che più avevano concorso a rendere quegli anni lieti…
Ecco, quella super lenza di Sir Marc Almond (mi pare che abbia ricevuto un O.B.E. pure lui per meriti artistici) non sta tranquillo un attimo e negli interspazi tra la produzione di dischi sempre più sofisticati ma lontani dalla sua passata estetica tragico-glamorous e il curare le ristampe dei propri album e celebrare il passato dei Soft Cell, anch’essi oggetto di ristampone non tutte indispensabili, il caricare sul suo sito almeno, a memoria: 4 concerti autofinanziati, ciascuno impostato come scaletta sulle tappe importanti della sua carriera ( già io son stanco a scrivere), intrattiene (o meglio, intratteneva pre covid) piacevoli serate in piccoli clubs con questa accolita di fascinosi, primo fra tutti il pluriventennale guitar hero Neal X (già gloria bionda nei Sigue Sigue Sputnik, un vaccino ante litteram ai presunti splendidi anni 80…), un po’ il suo Ronno.
Dai Velvet Underground al glam
Comunque, si diceva, visto che non si può suonare dal vivo e che la faccenda è moooolto di nicchia per farne un live streaming, ecco arrivare una piccola ma piacevole panacea sotto forma di un Mini Album (che nostalgia questi termini) dove la gang The Loveless, ovviamente condotta dall’Almond cantore, rispolvera classici più o meno noti degli anni 70, si omaggiano icone, si scoprono gusti ed influenze inaspettate e, all’ascolto, ci si stringe in una eco di tenerezza per l’incombenza senile dei protagonisti e la loro ineffabile voglia di tornare al tempo che fu.
Il dischetto parte con I Can’t Stand It, classico minore dei Velvet Underground tanto da essere tardivamente scoperto con la pubblicazione di VU, e si riconosca all’Almond il non voler scimmiottare Lou. Si prosegue con Putty in Your Hands, classico minore delle Shirelles riproposta in modalità tamarroglam. Si va avanti con addirittura gli Shadows Of Knight, in piena zona peebles, e la ballatona Dark Side che assume caratteristiche stranamente bowiane… E poi I Got A Line On You dei qui poco noti Spirit che prende una direzione davvero bizzarra all’interno del lavoro. E ancora Hot Hard And Ready dei misconosciuti Smokey, una glam band dei primi anni 70 abbastanza esplicita sulle tematiche gay all’epoca solo suggerite dai grandi nomi. Con Kill City si rende omaggio al primo omonimo vero album solista di Iggy Pop, una versione che non fa rimpiangere l’originale ma di Iggy c’è solo Iggy… Si conclude con un medley furbetto in quanto tutti e tre i brani poggiano sulle stesso riff ovvero Black Night dei Deep Purple, Blockbuster! degli Sweet e (poteva mancare?) Jean Genie di, vabbè devo proprio dirlo?
Long live The Loveless
Nel complesso un 24 minuti scarsi di durata ma che ne consentono l’heavy (?) rotation, aspettando di vedere se questi guasconi si produrranno su materiale originale e di lunga durata. Ma per me, anche se continuano a fare cover così basta e avanza. Long live the Loveless. Ah, il disco, su cd o in vinile è ordinabile direttamente presso di loro, costa una bazzecola e mi è arrivato prestissimo, prima di robe ordinate a due passi… Presto perché poi finisce su quel sito da collezionisti per cifre folli.
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