Chi pensa di trovare nel nuovo lavoro del Pop Group – Honeymoon On Mars – ruffianerie funkatoniche e senili invettive smetta pur di leggere ora e neppure si avvicini al disco.
Stabilito ciò, il Pop Group, nella sua seconda giovinezza creativa, pare che di cose da dire rispetto al suo glorioso passato anarco-funk, ne abbia ancora e parecchie. D’altra parte, avendo sempre rappresentato un’ala abbastanza oltranzista quando il 77 bruciava con Londra caput mundi, anche oggi argomenti per farli incazzare non ne mancano di sicuro. (E a proposito dell’oggi, molti pezzi del loro vecchio repertorio, come ad esempio We Are All Prostitutes, sono perfettamente attuali.)
Pop Group: una seconda vita con tante cose da dire
Se il precedente Citizen Zombie però riprendeva le fila discorso interrotto almeno 20/30 anni prima e ammansiva l’ascoltatore con ammalianti canzoni (?) ritmicamente ballabili (?), Honeymoon On Mars è un ritorno al no compromise più puro, complice anche la produzione di Dennis Bovell che di profondità se ne intende.
A parte il presunto singolo (?) Zipperface che contiene una seducente andatura protodance, il resto del lavoro si estende su paesaggi dub di urticante bellezza e dolore, una passeggiata tra le rovine della contemporaneità. Insomma roba piena di significante e pure di significato.
Honeymoon On Mars: un ritratto straziato del mondo d’oggi
Più passa il tempo più la lezione situazionista che Mark Stewart & Co. hanno propinato decenni fa diventa addirittura contemporanea. E poi come non commuoversi alla limited edition con le famose “spillette”, un adesivo e libretto fai-da-te? I punti interrogativi tra parentesi sono orgogliosamente consapevoli, qualsiasi cosa ne pensiate.
Bel disco ma non per tutti. Spero per tanti.
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