Nuovo episodio per The Residents, e al solito non manca il mistero.
Gli ineffabili situazionisti di San Francisco colpiscono ancora. Finita la manfrina, con le teorie più assurde a fare da contorno, sulle identità dei Residents,ora sappiamo che nel corso della loro cinquantennale carriera dietro maschere e sberleffi si son celati soprattutto il compianto Hardy Fox, scomparso lo scorso anno, e Homer Flynn, formalmente spokesman della band ma di fatto cantore occulto ancora oggi.
Ma non è finito lo sberleffo che affonda le proprie radici nella cosiddetta Teoria Dell’Oscurità, il pamphlet elaborato agli esordi che trova nell’odierna emissione nuova linfa e costante coerenza. Metal, Meat and Bone contiene, oltre a 6 brani appositamente composti dai Residents, 10 originali (?) demo e 10 del misconosciuto Alvin Snow alias Dyin’ Dog, ignoto bluesman ispirato da Howling Wolf, misteriosamente riscoperto dai Bulbi Oculari e coverizzato nella maniera lancinante che a loro confà.
The Residents – Metal, Meat and Bone. The Songs Of Dyin’ Dog
Inutile dire che tutto il lavoro è per orecchie abituate all’ascolto in modalità tartare, ovvero la decostruzione, demolizione e riproposizione di materia sopraffina con l’esaltazione di un gusto per palati più che fini, affini.
L’atmosfera generale che però pervade il disco pare suggerire ben altro, aggressioni sonore a parte, di cui una in particolare, la già nota Die, Die, Die, è affidata alla voce di Black Francis. La tribalità industriale di Bury My Bones, le songs, originali o presunte tali, rendono omaggio a quella che è la natura intrinseca del termine/genere Blues, ovvero una radicata malinconia di posti lontani a cui non si farà più ritorno e invocazioni pagane a divinità lasciate in terre altre. In questo si intravede la mano di Eric Drew Feldman che già fu sodale della buonanima di Don Van Vliet, il Capitano Cuordibue a cui i nostri credo debbano, con tutto il rispetto per la loro storia, comunque qualcosina…
Colonna sonora per la pandemia
Questo rende il disco un piacevole passo avanti rispetto al precedente Intruders, che già celava suggestioni swamp cajun, ma Metal, Meat and Bone meglio regge all’ascolto per varietà e mood generale. L’importante è non porsi domande se quello che ascoltiamo è davvero un ritrovamento archeologico di qualcuno mai emerso. La teoria dell’oscurità ricopre, con il suo manto di culto, ogni tipo di non necessità e, al tempo stesso, di indispensabile arte.
Non vergini a questo tipo di esperienze, si veda l’album Eskimo, che pareva essere fondato su studi antropologichi delle popolazioni fredde, o la serie American Composers dove gli omaggi erano poco più che nei titoli, i Residents proseguono, orfani della mente musicale di Fox, in una doverosa ricerca del suono/senso, affidandosi a ospiti nominati. Su tutto il lavoro aleggia però l’ombra oscura di una contemporaneità alla quale nessuna forma di protezione può permettere di sottrarci, una colonna sonora pandemica ante-pandemia.
The Residents, Metal, Meat and Bone, e il dubbio di un fan
Unica nota dolente, da parte del sottoscritto, è la macchina commerciale, da loro derisa secoli orsono con il Commercial Album, insuperato capolavoro di sintesi e genialità, che ha previsto due distributori diversi, molteplici limited edition, copie in formati e materiali differenti… E loro che se la ridono mentre il registratore di cassa fa bling, suono che prima o poi campioneranno…
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