Nell’anno dei ritorni ecco ricomparire anche Matt Johnson/ The The con Ensoulment.
Torno provvisoriamente a scrivere solo per grande affetto verso chi me lo ha chiesto con cortese deferenza sapendomi in altri pensieri e dolori affacendato e quanto questo mi costi sol io lo so… Per tutti quelli che mi han inviato i loro lavori per ascolto e giudizio chiedo di aver misericordia e pazienza, presto o tardi tornerò.
È questo l’anno dei grandi ritorni? Ha finalmente visto la luce il tanto sospirato I/O di Peter Gabriel, a occhio a 23 anni dall’ultimo, del Nick Cave con i Bad Seeds, del prossimo Gavin Friday, anche lui dopo ben 13 anni e pure di questo Ensoulment dei The The di Matt Johnson che ha atteso 24 anni per tornare alla forma canzone.
Breve analisi delle ricomparse datate 2024
Astenendomi e rimandando per ora il giudizio su Friday che uscirà intorno a fine ottobre ma che già ha emesso un singolo programmatorio proprio in queste ore, quel che posso dire è che nessuno di questi ritorni mi ha toccato corde da tempo sopite e chissà se ma si risveglieranno: Gabriel ha ecceduto nell’attesa per proporre canzoni ed arrangiamenti palesemente già vecchi, frutto degli anni in cui furono composte, Cave mi ha lasciato freddo freddo, aperture inutilmente enfatiche e linea piatta emozionale ed adesso ecco che pure Matt Johnson aumenta il mio disagio aurale.
Comprendo perfettamente che è inutile cercare fasti passati in artisti che tutto quello che di buono avevano da dire lo hanno detto nel loro perfetto zeitgeist, ma la cosa che poco tollero è l’assoluta mancanza di obiettività da parte di chi continua a giudicarli lavori notevoli quando questi non sono.
E di Ensoulment cosa pensare?
La mia pazienza è stata messa a dura prova da Ensoulment (pubblicato dalla Warner), 13 canzoni che in realtà si presentano come uno stream of consciousness dove sia le atmosfere che l’uso della voce possono essere perfettamente intecambiabili da brano a brano. Unica differenza sono i chorus che mantengono una parvenza di forma canzone mentre si alternano a simil spoken in cui la suadente voce di Johnson ammanta sì le orecchie ma stenta a trovare altre strade corporali persino quando accenna a cantare.
Disco notturno, qualcuno dirà, finanche soporifero al punto che il paragone con la nuova uscita di Cave fa riflettere nuovamente su quanto è ormai futile l’attesa quand’essa vien illusa.
Possibile che nessuno osi dichiarare quando il re è nudo?
All’ennesima song che parte con la voce sussurrata, all’ennesima parvenza di chissà cosa sta per iniziare, mi ritrovo sfibrato a metà disco; va bene l’atmosfera ma non si chiamino canzoni, e queste vale anche per tante neoformazioni che attingono a miti passati ma che non riescono a scrivere qualcosa che si possa canticchiar e grande è la latitanza di voci distinguibili tra loro.
Mi prenoto per Friday, per quel che si sa disco prodotto dal Soft Cell Dave Ball, che già produsse il secondo Virgin Prunes, e che promette danze muscolari e testi calati in una contemporaneità ormai impossibile da seguire in quanto supera ogni secondo se stessa e fa sempre peggio.
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