Parte come un progetto casalingo il secondo disco del duo The Waeve: City Lights.
In un certo senso è particolare che la discussione sul fatto che in Italia non si facciano più figli verta sempre sul peso economico non più sostenibile, ma spesso anche sull’impossibilità di conciliare una vita genitoriale con una vita professionale o i propri svaghi in maniera equilibrata. Ognuno ha le proprie buone ragioni per decisioni così importanti, questo è ovvio, ma se fossi il nostro Governo darei risalto ad un disco come City Lights (Transgressive) dei The Waeve, duo formato dalla colonna portante dei Blur Graham Coxon e la compagna Rose Elinor Dougall (ricordate le Pipettes?), registrato in casa mentre badavano alla piccola figlia Eliza May, vista qui quindi non certo come ostacolo alla creatività, quanto invece molla, se non proprio musa (un brano si chiama Song For Eliza May per dire), di un disco davvero sorprendente.
I ruoli di Coxon e Dougall
I Blur hanno da sempre dato prova di grande versatilità e varietà di stili e ispirazione, e sicuramente Coxon ne è da sempre uno degli artefici principali, ma qui chitarrista, in libera uscita da un gruppo ormai da qualche anno ridefinito e riassemblato con successo, si concede una serie di virtuosismi da musicista completo (suona praticamente tutto tranne gli archi). La prima cosa che si nota è che la voce della Dougall, che ha una tonalità alla Elizabeth Fraser, quasi da irish singer classica, porta i due a toccare anche corde di rielaborata tradizione quasi alla Mike Oldfield (Girl of The Endless Night), la seconda è che Coxon in questo secondo capitolo della coppia canta di più e ha messo al centro i fiati (che suona lui stesso con gran maestria).
The Waeve – City Lights: non poche le citazioni, a partire da David Bowie
Ma, rispetto all’esordio, è anche un disco decisamente più citazionista, con una partenza nella title-track che chiunque riconoscerebbe essere di marca Bowie periodo berlinese (basterebbe anche solo il pesante drumming che lo apre), ma in generale un evidente amore per la musica new wave (o post-punk che dir si voglia) degli anni 1979-1983,ed è lecito immaginarsi che siano di quel periodo i dischi che la coppia poteva permettersi di suonare in casa senza ovviamente coprire gli eventuali pianti della bimba.
L’album comunque è stato poi rimaneggiato dal produttore James Ford (lo stesso dei Blur recenti), che ha tolto l’inevitabile patina da home-made record rendendo City Lights uno dei dischi più romanticamente nostalgici di questa annata, con una varietà che va dal quasi punk di Broken Boys al dream pop in salsa Cocteau Twins di Simple Days, passando per brani anche complessi come Druantia e You Saw. Insomma, al duo piace vincere facile nel giocare con ricordi e sentimenti di un pubblico sicuramente attempato, e qui sta il limite ovvio e tutto sommato poco importante di un disco comunque riuscito.
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