Dopo Drunk, l’atteso ritorno di Thundercat con It Is What It Is.

Ascoltando e scrivendo del precedente disco di Stephen Bruner in arte Thundercat – Drunk di ormai tre anni fa – notavo come la forma canzone intesa in senso classico avesse lasciato il posto ad una più contemporanea configurazione musicale a ‘taccuino’. Mantenendo sostanzialmente gli stessi fattori di allora (la produzione di Flying Lotus, i musicisti coinvolti, anche l’Artwork di Zack Fox e il fotografo Eddie Alcazar sono gli stessi) il prodotto non poteva cambiare. E infatti non cambia: ogni titolo di It Is What It Is (là erano ventitré per cinquanta minuti, qui quindici per trentotto, quasi immutata la durata media) assomiglia più a uno schizzo, a un’idea buttata lì, pronta da sviluppare in un remix o forse, più semplicemente, da fruire in un ascolto che necessariamente si è fatto più frammentato, schizofrenico, spesso mero sottofondo visivo.
I suoni e gli ospiti del disco
Se i primi due brani, Lost In Space / Great Scott e Innerstellar Love, provano a traghettarci nello spazio profondo (eviterei paragoni con lo Space Jazz di Sun Ra, siamo più dalle parti di un galaxy-funk alla Crown Eights Affair), il primo featuring del disco, con il batterista Louis Colem non poteva che essere un esercizio di drumming in parte fine a se stesso. Le qualità di Thundercat sono comunque indiscusse: lo dimostra Black Qualls, il brano in cui riascoltiamo la voce di Steve Arrington e qui la sfida a distanza è con il bassista Mark Adams, il cuore pulsante degli Slave dove esordì negli anni ‘70 il redivivo Steve.
Miguel’s Happy Dance ha una linea pronta per videogame (Bruner è un appassionato patologico di videogiochi) così come How Sway, brillante esercizio di tecnica stellare (questa sì degna di Jaco Pastorius o Stanley Clarke). Dragonball Durag è finalmente un brano concluso (ma non soffermatevi sul testo).
L’omaggio a Mac Miller
Mentre, dopo un paio di intermezzi, arriva la toccante Fair Chance insieme a Lil B e Ty Dolla $ign dedicata all’amico recentemente scomparso Mac Miller. Infine i cinquantadue secondi di Existential Dread che sembra scritta per il momento che stiamo vivendo: Sometimes, existential dread / Comes ringin’ through loud and clear / I’ll adjust and simply let go / I guess it is what it is (Is) / I’m not sure of what’s coming next / But I’ll be alright as long as I keep breathin’ / I know I’ll be alright / I know I’ll be alright.
Thundercat sigilla It Is What It Is con il brano omonimo
E in chiusura il brano più lungo del disco, It Is What It Is, oltre 5 minuti divisi implicitamente in due parti: i primi due insieme a Pedro Martins, enfant prodige brasiliano della chitarra (già ascoltato con il sassofonista Chris Potter), i restanti tre, strumentali. Sembrerebbe il prologo ad una composizione articolata, forse addirittura una suite, ma invece la musica inspiegabilmente comincia a sfumare (quasi un minuto!), senza giungere a un compimento. Un po’ come l’intero album in effetti.
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