Un album insolito nella storia dei Tindersticks: Distractions.
“It’s not a lockdown album” precisava con fermezza Stuart Staples alla vigilia dell’uscita di questo tredicesimo album in studio della band di Nottingham. Eppure chi scrive, anche dopo numerosi ascolti, fatica a bandire il pensiero che il suono scarno di questi sette brani non rifletta – o non sia lì in qualche modo a rappresentare – l’esperienza emotiva di questi ultimi dodici mesi.
Se è vero che ciò che principalmente caratterizza l’opera dei Tindersticks sono i sontuosi arrangiamenti e una lirica quasi narrativa, in un certo senso questo Distractions potrebbe rappresentare una sterzata improvvisa verso una scrittura più astratta e un suono a tratti minimalista. Detto ciò, è anche vero che la band si è spesso concessa divagazioni nel campo della sperimentazione: queste però si limitavano ad accompagnamenti musicali alle opere della cineasta indipendente Claire Denis – dalla sublime Nenette et Boni del 1996 fino all’inquietante High Life del 2018.
Una lunghissima introduzione
Fa quindi un certo effetto la Man Alone (Can’t Stop The Fadin’) di apertura con il suo freddo e implacabile incalzare di basso e batteria elettronica, che la languida voce di Staples cavalca con l’agilità di un cowboy. Un notturno per le strade deserte della capitale che rievoca le atmosfere dei primissimi Suicide e Joy Division. Ben undici minuti più tardi, ecco la tregua di I Imagine You, con la voce di Staples ora ridotta a un sussurro nell’orecchio di un amico, di un’amante, di uno/a di noi. Un confessionale tenero e malinconico dal quale si passa a una sorprendente infilata di cover.
Le cover dei Tindersticks in Distractions
Ora, non è la prima volta che i Tindersticks si misurano con composizioni altrui: basti pensare a If You’re Looking for a Way Out (Odissey) o Johnny Guitar (Peggy Lee). Se però la presenza di ben tre cover in un album di solo sette brani renderebbe legittimo immaginare una mancanza di idee, svestita dalle sonorità country dell’originale A Man Needs A Maid (Neil Young) diventa qui una sorta di torch song al limite del trip-hop che convince. E se di quel capolavoro tragico-ironico sulla malattia mentale che è Lady With The Braid di Dory Previn i Tindersticks sembrano voler cogliere principalmente l’eccentricità della composizione, il tema che elaborano sul finale – l’unico momento che potrebbe dirsi orchestrale di tutta l’opera- riesce comunque a risultare toccante. Ma è con You’ll Have to Scream Louder (Television Personalities) che si entra nel cuore emotivo dell’album.
Più sobrio e, nonostante ciò, di gran lunga più inquietante dell’originale, grazie a un’ira che la voce di Staples tiene fermamente a guinzaglio e che la produzione riesce a mascherare dietro una ritmica sinuosa e ipnotica.
Alti e bassi nel finale
Segue Tue-Moi, brano per pianoforte e voce ispirato, se così si può dire, dal massacro del Bataclan. Indubbiamente sentito e di certo non banale, chi scrive trova comunque difficile lasciarsene coinvolgere: l’orrore di quella tragica notte del 2015 ancora troppo vivo nella memoria. Un brano da riascoltare forse più in là. Ma ecco la traccia finale del disco, annunciare il suo arrivo con il cinguettio di uccelli e le calde note di un flauto Mellotron: The Bough Bends è la calma dopo la tempesta. Una riflessione sulla vita passata, su vecchi amori e opportunità perdute le cui note continuano a cullare la mente dell’ascoltatore anche dopo che l’album è giunto al termine.
Sebbene non un lavoro all’altezza dei recenti The Something Rain o No Treasure But Hope (2012 e 2019 rispettivamente) quest’opera è certamente quello in cui una band matura e affiatata si imbatte quando si dedica con passione all’attenta ricerca di nulla in particolare.
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