I Tupa Ruja di Contrast solcano i mari dei suoni.
Attivi almeno dal 2007, i Tupa Ruja (“tana rossa” in sardo) sono al loro quarto album (quinto se si considera anche il live Impronte del 2014). Contrast esce a sei anni di distanza dal precedente In Questo Viaggio dal quale peraltro riprende due brani ri-arrangiandoli grazie anche ad una strumentazione più ricca. Il pianista Alessandro Gwis, in precedenza membro stabile del gruppo insieme ai fondatori Martina Lupi e Fabio Gagliardi, compare solo in alcuni brani, mentre sono presenti sempre Mattia Lotini (chitarra, basso e bouzouki) e Stefano Vestrini (batteria e percussioni), oltre ad altri ospiti di grande prestigio che vedremo in seguito.
Le sei lingue e i molti mondi di Contrast
Nei dieci brani del disco, composti quasi tutti da Martina Lupi, si incontrano ben sei lingue diverse, cominciando dal friulano della title track per finire col portoghese di Como O Ar Do Mar, passando dall’inglese, dal genovese di Oua (scritta da Fabio Gagliardi), dai tre in italiano e altrettanti in spagnolo.
L’insieme ha un sapore, a nostro modestissimo avviso, squisitamente mediterraneo, a dispetto della presenza di strumenti caratteristici di ben altre tradizioni, come il celtico tin whistle suonato in alcuni brani da Martina Lupi e soprattutto l’aborigeno didjeridoo, quasi onnipresente sorta di percussione a fiato che Fabio Gagliardi riesce in più di un occasione a far diventare uno strumento quasi “melodico”.
È però un Mediterraneo allargato quello di Contrast, che guarda alle coste africane grazie alle percussioni di Vestrini e addirittura oltreoceano grazie al sax soprano e al flauto andino di Javier Girotto che nella struggente Oua regala suggestioni di jazz porteño che, soprattutto nel finale, fanno da contrappunto all’incalzante canto della Lupi. Atmosfera non troppo dissimile da quella che si respira nella successiva Mi Alma dove, su un sottofondo di percussioni martellanti dal sapore africano, è la chitarra di Lotini a ricamare delicati arabeschi di flamenco. Il dolcissimo canto d’amore di D’ali sposta l’accento su scenari sonori più “orientali”, magistralmente evocati dalla riuscita amalgama tra le percussioni, il bouzouki e gli archi dell’altro ospite Michele Gazich.
Si torna sul versante, per così dire, argentino con Nina Tu Eres, dedicata da Martina Lupi alla figlia con accenti di viva commozione e con il pianoforte di Gwis che, dopo un esordio assai lirico, disegna una sorta di chacarera che mantiene comunque un forte sapore mediterraneo. Del resto è superfluo sottolineare gli strettissimi rapporti tra Argentina e Italia e segnatamente con Genova, porto di partenza di tanti emigranti con destinazione sudamericana: forse non è un caso che uno dei due brani ai quali l’argentino Girotto presta il suo sax sia scritto in genovese, quasi a ribadire una sorta di consonanza culturale e spirituale. Sax che ritorna ne La Distanza per dialogare con la voce femminile e rivestire un testo che parla di vuoto e di mancanza.
Dopo Los Elementos, che ci regala atmosfere quasi di fado nonostante la forte presenza del didjeridoo, si chiude con Como O Ar Do Mar, già presente nel disco precedente e in qualche modo vero e proprio biglietto da visita del gruppo, grazie proprio al tappeto sonoro dispiegato dal didjeridoo e dalle percussioni sul quale improvvisamente esplodono le chitarre.
Un progetto ad ampio respiro
Ai primi ascolti il disco ci ha ricordato per certi aspetti Canti Naviganti, il recente progetto di Teresa Salgueiro col Solis String Quartet. Ovviamente le differenze sono notevoli, a cominciare dalla strumentazione, che difficilmente potrebbe essere più diversa, per finire col fatto che in un caso si tratta di brani provenienti dalla tradizione, mentre nell’altro si ha a che fare con composizioni nuove. Ma simile è l’intento di far convivere tradizioni musicali diverse evidenziandone un minimo comun denominatore e simili suonano all’orecchio le incantevoli voci delle due cantanti.
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