Terzo disco per Valerie June: The Moon and the Stars: Prescriptions for Dreamers.
Da Valerie June rimasi stregata dopo l’uscita di Pushin Against A Stone del 2013, prodotto da Dan Auerbach, un bellissimo mix di gospel e soul, roots folk e country definito da lei stessa “organic moonshine roots music”.
Una voce particolare, Dolly Parton e Diana Ross, una figlia di quel Tennessee che geograficamente e musicalmente va dalle Smoky Mountains fino a Memphis. Evidentemente non fui la sola se dopo quell’album Valerie June Hockett da Jackson TN, conquistò fans come Bob Dylan e Michelle Obama e suonò con gli Stones allo Hyde Park festival. Quattro anni dopo il precedente ed etereo The Order of Time del 2017, con i suoi richiami al Van Morrison di Astral Weeks, Valerie torna con il nuovo The Moon and the Stars: Prescriptions for Dreamers, uscito per Fantasy Records con la produzione di Jack Splash.
You Must Say I’m A Dreamer
La ragazza con la chitarra, capelli da medusa e voce da sirena, ormai di base a Brooklyn, ci offre la sua ricetta per realizzare i propri sogni, non importa se piccoli o grandi. Ed ecco che tutto l’album ha questa ambizione, quella di portarci in una dimensione onirica (un po’ troppo new age a volte) partendo dalle consuete radici southern, soul e blues e aggiungedovi afrobeat e hip hop, con una produzione sontuosa e a tratti in qualche misura ridondante.
Valerie June – The Moon and the Stars: Prescriptions for Dreamers: i momenti migliori
In questo percorso, country e cosmopolita al tempo stesso proprio come lei, al soul si intrecciano momenti di meditazione, che, fra una traccia e l’altra, si rivelano come dei piccoli interludi che lasciano sedimentare l’ascolto precedente e preparano il successivo. Al ritmo ipnotico di You and I e alla poesia di Stardust Scattering, all’unico accordo di Within You, costruito come un mantra su chitarra acustica cui si aggiungono loop di drum machine e improvvisazioni di chitarra elettrica. Per passare a Two Roads dove la voce dai ruvidi toni soul si fonde elegantemente con il lamento di una steel guitar, e alle ballate acustiche Fallin’ e Colors con la voce fragile e solida al tempo stesso.
Only A Fool Tests The Depth Of The Water With Both Feet
Così Carla Thomas, citando un proverbio africano, ci accompagna fino a Call Me A Fool una ballata soul struggente, con la voce della regina della Stax a ricordarci insieme a June che l’amore, quello vero, ti rivolta come un calzino (…Got my life twisted, turned it upside down) ieri come oggi.
A chiudere Starlight Ethereal Silence con il canto degli usignoli, dei flauti e le campane tibetane a suggellare l’invito a sognare sempre e comunque, e a trovare una connessione che conduca se non alla realizzazione dei propri sogni, almeno a capirsi un po’ di più. Un album composito, tradizionale e innovativo al tempo stesso, scritto in solitudine nel 2019 ma che anticipava quello di cui avremmo avuto bisogno nei mesi successivi: sognare cullati da buona musica e da una voce meravigliosa.
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