A Song For Leon rende omaggio al geniale, istrionico Leon Russell
Leon Russell (1942-2016) è l’artista perfetto per un album-tributo. Fatta eccezione per A Song For You e Delta Lady, peraltro portate al successo da altri, nessuna delle sue canzoni è troppo nota, anche se molte sono eccellenti esempi di uno stile sudista (il nostro era di Tulsa, Oklahoma) in grado di destreggiarsi fra pop e r&b, fra soul e New Orleans sound, fra ballate e ritmi serrati. In secondo luogo, il pur molto caratteristico Russell agiva sovente non da solista bensì in veste di pianista da session o co-protagonista. Non a caso il suo passaporto per la celebrità fu la vistosa presenza come “master of space and time” nella tournée-film-disco Mad Dogs & Englishmen a nome di Joe Cocker.
Dopo aver lavorato con personaggi del calibro di Rolling Stones, Bob Dylan, Eric Clapton, John Lennon l’uomo dai capelli esuberanti conobbe una lunga eclissi creativa, interrotta solo nel 2010 da The Union, album di duetti inciso insieme al fan di lunga data Elton John.
Abbiamo quindi un personaggio importante eppure non conosciutissimo e, nel caso di un disco-tributo, non a rischio di sfida al primo ascolto con le stesure originali. Con queste premesse A Song For Leon poteva essere un vero crogiuolo di idee in libertà in chiave “Americana”. Così è solo in parte e i motivi sono presto spiegati.
Interpreti e repertorio di A Song For Leon
Intanto dieci pezzi sono pochi per un artista dalla lunga carriera e, in un contesto tanto tanto smilzo, si nota subito l’assenza di Delta Lady (paura di sfidare Joe Cocker?). In otto casi abbiamo la presenza di musicisti ‘di settore’ come Margo Price (country nuova Nashville) o Durand Jones (r&b revival), tutti nella prima maturità artistica, tutti di media-buona notorietà e tutti bravi senza grandi guizzi. La migliore è Monica Martin, alle prese con l’impegnativa A Song For You (già ripresa da 236 altri/e fra cui Aretha Franklin, Carpenters, Ray Charles..) a cui dona un doveroso e ben controllato pathos.
Poi ci sono due nomi che provano a uscire dal seminato per rendere omaggio alla componente più sregolata del Leon Russell compositore. Sono i Pixies, che distorcono quanto basta Crystal Closet Queen, e la strana accoppiata formata da Bootsy Collins e U.S. Girls, che provano a rendere strana e vagamente psichedelica Superstar. Anche loro sono abbastanza bravi, ma c’entrano poco con il resto della compagnia e avrebbero avuto bisogno di qualche altro compagno di trasgressione. Così, invece, il risultato complessivo suona sbilenco, incompleto.
Il finalino è il solito che si potrebbe copiar-incollare da tante altre recensioni di dischi-tributo: A Song For Leon non è eccezionale, però ha il merito di far ri/scoprire una figura meritevole e semi-dimenticata. E così anche questa recensione si allinea con il contenuto del disco, meritandosi, se va bene, lo stesso voto.
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