I bozzetti rurali di Vince Gill: Okie.
Quello di Vincent Grant Gill (in arte solo Vince Gill) è un nome pressoché sconosciuto dalle nostre parti. Un paese in cui in effetti – a parte qualche rara eccezione – la country music non ha mai attecchito o, se lo ha fatto, ha nobilitato artisti e gruppi che l’hanno declinata in salsa West Coast –gli Eagles, per esempio – oppure in chiave pop o easy listening – vi ricordate John Denver? – senza mai varcare la soglia di riviste specializzate e settoriali o piccole nicchie di pubblico.
Neanche il tanto bistrattato country nashvilliano, quello che segue le mode per gratificare la parte più “conservatrice”– anche per quanto riguarda i gusti musicali – degli States ha sempre stentato ad affermarsi qui da noi. Ed è un peccato, perché nella bolgia infernale delle multinazionali del disco – che cambiano l’ordine dei metodi d’ascolto ma non il prodotto – sono molti gli artisti degni di attenzione che ci siamo persi e ci stiamo perdendo.
Vince Gill ‘quasi’ Dire Straits e poi Eagles
Uno di questi è senz’altro Vince Gill, chitarrista sopraffino e autore talentuoso – ha scritto canzoni per sé e un po’ per tutto l’universo country-rock – che in tempi non sospetti fu notato da un certo Mark Knopfler, l’ex leader dei Dire Straits il quale più volte, durante gli anni gloriosi del gruppo, lo invitò a farne parte in pianta stabile dopo l’abbandono del fratello David; un’attenzione che, solo per la fonte di provenienza, rappresenta certamente un sigillo di garanzia e qualità. Non solo: dopo la prematura scomparsa, nel 2016, di Glenn Frey, padre fondatore e colonna portante degli Eagles, è stato proprio il buon Vince a prenderne il posto in qualità di polistrumentista durante i concerti di uno dei gruppi più gloriosi della storia della musica.
Vince Gill, Okie e il country
Ma Gill è innanzitutto un country singer che, nel corso della sua lunga carriera – lo scorso aprile ha spento 62 candeline – ha inciso più di venti album piazzando oltre 40 singoli nelle top charts del genere, spaziando dal bluegrass al country più tradizionale con inflessioni rock e tinteggiature roots, senza mai allontanarsi da una qualità media che si è sempre distinta rispetto al calderone pop e artefatto tipicamente nashvilliano.
Vince Gill – Okie: 12 canzoni di qualità
Anche se gli ultimi album avevano denotato una freschezza priva di rughe e un’ispirazione sempre in movimento, almeno per il sottoscritto Okie è stato una sorpresa: non tanto per la buona qualità delle 12 tracce che lo compongono, quanto per la capacità di Gill di ampliare ulteriormente gli orizzonti del suo songwriting. Sì, perché Okie non è un album country, o meglio, non è solo country, ma la raccolta di un cantautore che omaggia la sua terra toccando le corde della propria intimità.
“Okie” (già titolo di un disco di J.J. Cale) è appunto un termine usato in senso dispregiativo per indicare gli abitanti del luogo costretti a emigrare sulla costa occidentale degli Stati Uniti durante il periodo delle tempeste di sabbia della Dust Bowl e della Grande Depressione degli anni trenta. Periferia, emarginazione, dolore, riscatto, solidarietà sono i temi essenziali che attraversano i bozzetti scarni – la strumentazione è parca, principalmente acustica –, dai colori tenui e delicati.
Magari niente di nuovo, però un disco che si ascolta con piacere
Vince canta benissimo, con il cuore, come se Okie fosse l’album da tempo sognato, il disco della vita. Dall’iniziale I Don’t Wanna Ride the Rails No More si passa a Forever Changed – il racconto di un abuso sessuale – fino a A Letter to My Mama, per giungere a due tributi importanti: il primo a Guy Clark (Nothin’ Like a Guy Clark Song), scomparso nel 2016; il secondo a Merle Haggard, mito assoluto e autore della celebre Okie From Muskogee (A World Without Haggard). Arrivati alla fine, si capisce perché Knopfler tanto lo volesse tra le file degli Straits. Per carità, niente di nuovo sotto il sole: ma, in queste prime giornate autunnali, è un sole che riscalda.
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