Vince Vallicelli – Vëcc Burdël

La valorizzazione della tradizione dialettale trova un testimone in Vince Vallicelli – Vëcc Burdël.

Già da tempo si assiste nel pop-rock-blues italiano ad una riscoperta – o meglio, valorizzazione – del dialetto, ammesso che sia lecito usare un termine che forse è implicitamente, e ingiustamente, riduttivo. Il primo a beneficiare di questa rinnovata attenzione è stato senza dubbio il siciliano, al quale ha aperto la strada il lavoro di Cesare Basile, e adesso si stanno presentando alla ribalta anche gli idiomi di altri territori. Precursore in questo campo fu, nel 1995, Canti Randagi, una bella compilation in cui artisti di varie regioni d’Italia rendevano omaggio a Fabrizio De André reinterpretando nei loro rispettivi idiomi alcuni dei suoi brani più belli e in cui, grazie ai Bevano Est e alla loro reinterpretazione di Rimini, faceva forse la sua prima comparsa il romagnolo. Vince Vallicelli – romagnolo purosangue di Forlì e leggenda da anni del batterismo blues italiano (e non solo) – ha deciso già da un po’ di raccoglierne il testimone e si presenta adesso con la sua terza prova solista, Vëcc Burdël, (dopo Com Un Can Sota La Lona del 2007 e il bellissimo La Fevra del 2017) cantata nella sua “lingua”.

I testi e la band

Come nel disco precedente, anche qui Vallicelli si affida ai bei testi del conterraneo Claudio Molinari e a una backing band ormai collaudata anche da molte esibizioni live: Don Antonio – al secolo Antonio Gramentieri – alle chitarre, Roberto Villa al basso e Nicola Peruch alle tastiere. Piero Perelli coadiuva il leader alle percussioni e Stefano Pilia si aggiunge in un paio di brani alla chitarra elettrica.

Le canzoni di Vince Vallicelli – Vëcc Burdël

Il brano iniziale, Blues Dla Poca Voja, è un blues “acidificato” al quale la chitarra twang di Don Antonio conferisce un’atmosfera da “desert rock” mentre l’organo di Peruch disegna fraseggi che fanno talvolta pensare a un Jimmy Smith rallentato, come ascoltato alla moviola. Il brano eponimo è invece debitore della rilettura che del blues ha fatto tutto un filone del rock d’autore d’oltreoceano, Tom Petty in testa, e qui la chitarra di Don Antonio – che quel genere ha ampiamente frequentato – la fa abbastanza da padrone. Si torna sulle atmosfere del brano iniziale con ‘Na Sopa Chelda, forse il blues più classico e meno “contaminato” di tutti.

Il suggestivo La Foja è probabilmente il brano in cui l’interplay tra le percussioni del leader, la chitarra di Don Antonio e le tastiere di Peruch raggiunge il livello più alto. Manca lo spazio per un elenco completo – magari con un minimo di commento – dei brani che compongono il disco, ma non ci si può comunque esimere dal citare almeno l’energetico rock-blues di Stazion e il “romantico” UE Zil U-s’e Svarse, forse il brano dove blues “adriatico”, southern rock e suggestioni morriconiane si fondono più compiutamente.

Un disco all’insegna dell’entusiasmo

A tenere mirabilmente “unito” un disco che presenta influenze molteplici la grande maestria di Vallicelli, le cui percussioni assumono a volte sonorità e accenti quasi “sciamanici”, e la sua suggestiva voce “rauca”, piena di passione e capace di comunicarla a chi ascolta. Vëcc Burdël, cioè vecchio ragazzo: la sensazione è che nel titolo Vince Vallicelli abbia voluto racchiudere una sorta di suo autoritratto: l’orgogliosa rivendicazione di chi è riuscito ad “invecchiare” mantenendo il cuore e l’entusiasmo di un ragazzo.

Vince Vallicelli – Vëcc Burdël
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“Giovane” ultrasessantenne, ha ascoltato e ascolta un po' di tutto: dalla polifonia medievale all'heavy metal passando per molto jazz, col risultato di non intendersi di nulla! Ultimamente si dedica soprattutto alla scoperta di talenti relativamente misconosciuti.

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