In Kerber Yann Tiersen racconta la “sua” isola di Ushant
Salvo occasionali escursioni, sempre con passo e mete ben controllate, la musica di Yann Tiersen è ancora oggi quella di Le Phare, il disco che nel 1998 lo fece conoscere al grande pubblico francese, e della colonna sonora del Favoloso mondo di Amélie, che nel 2001 lo fece conoscere al grande pubblico mondiale.
Tiersen in fin dei conti racconta da sempre il mare della Bretagna, l’isola di Ushant dove vive, i suoni, gli sguardi, i silenzi di un luogo amato. E riesce sempre a trovare qualche scorcio nuovo, qualche anfratto inesplorato Che le sue composizioni siano risultate perfette per un film di tutt’altra ambientazione quale Goodbye Lenin! è la dimostrazione di un talento artistico comunque cristallino e adattabile alle situazioni. E, cosa di una certa importanza, senza scivoloni sulla cera new age. Chi non conoscendolo voglia cominciare ad farlo può partire dalla bella antologia Portrait, uscita a fine 2019.
Kerber: un album e un film
Poco o nulla cambia anche in Kerber, lavoro che accompagna l’uscita dell’omonimo film, descritto come “viaggio sonico e visuale” a Ushant (già celebrata nel disco del 2016 Eusa) e che ha come colonna sonora, oltre ai pezzi del disco, anche materiale di repertorio. L’album contiene otto tracce per pianoforte dalle classiche coordinate minimaliste, circolari ed elusive che richiamano Satie e Nyman. In una seconda fase il produttore Gareth Jones ha inserito elementi elettronici, campionature, tocchi ambient e sul finale persino un lieve accompagnamento ritmico.
Lo stile di Yann Tiersen
Il risultato è tanto indovinabile a priori quanto ispirato: i pezzi reggono bene anche senza immagini e persino nella versione per solo piano . Grazie a una comunicativa efficace senza bisogno di suscitare lacrime e magoni e alla capacità di sagomare i sentimenti anziché dipingerli in ogni dettaglio, ancora una volta Tiersen ha evitato il rischio dell’arte tanto traboccante di sentimenti da restare vuota. Certo, non è musica per tutti i momenti e nel momento sbagliato può risultare addirittura superficiale, inconcludente, leziosa. Per apprezzarla bisogna saper aspettare.
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