Imprevedibile Yusuf.
Un nuovo disco di Cat Stevens è sempre un evento, specie dopo averlo perduto (musicalmente parlando, s’intende) e poi ritrovato. La storia di uno dei più grandi cantautori di ogni tempo è abbastanza nota, almeno per chi possiede un briciolo di infarinatura musicale. E – soprattutto – sa cosa significa far girare sul piatto un 33 giri. Un percorso personale sofferto e interessante, che si specchia sovente nella sua produzione musicale dei primi anni 70: il successo, la crisi, la conversione all’Islam, mal vista da critici e pubblico e soprattutto mai accettata dallo star system. Ma, almeno per chi conosce qualcosa della sua biografia, una scelta assolutamente profonda, meditata e sincera.
La carriera di Cat Stevens
Certo, album come Tea For The Tillerman e Teaser And The Firecat sono inimitabili e irripetibili. Canzoni come Wild World, Father And Son, Moonshadow, Peace Train e Morning Has Broken fanno ormai parte del mito, ma c’è un ma: dal ritorno di Cat Stevens sulla scena musicale pop (ovvero, dall’ottimo An Other Cup del 2006) mai un album si è avvicinato a quelle atmosfere come The Laughing Apple, che vede Yusuf circondarsi dei collaboratori e amici di un tempo: Paul Samwell-Smith alla produzione e il grande Alun Davies alla chitarra. Da notare come la carriera del chitarrista sia indissolubilmente legata a quella di Steven Demetre Georgiou (perché sarebbe questo, in effetti, il nome registrato all’anagrafe): di Alun, infatti, non si erano più avute notizie fino alla ricomparsa del cantautore in sala di registrazione.
Yusuf pesca nel passato per The Laughing Apple
The Laughing Apple affonda le sue radici sonore proprio nei colori dei primi 70, quando Cat Stevens elaborava i suoi magnifici acquerelli di sensibilità e tenue meraviglia. Le illustrazioni che accompagnano il booklet e la copertina (dello stesso Yusuf) sembrano tracciare il filo conduttore di uno stesso tessuto, quello che cercava di scoprire il sole attraverso gli occhi di un bambino.
La matrice elettroacustica di tutti i brani (ripresi per lo più dal repertorio di un tempo e rivestiti per l’occasione) ha un vago sapore rétro, ma è innegabile che molte canzoni del primissimo periodo più pop di fine anni 60 ne risentano in positivo.
Ma The Laughing Apple è un disco oltre il tempo
Un esempio è l’iniziale Blackness Of The Night. Originariamente presente in New Masters, secondo album del 1967 – che dopo cinquant’anni vive di luce propria e non perde una nota del suo fascino. Sono presenti i temi a lui cari e i simboli ai quali è sempre stato legato: la notte, la sofferenza, la ricerca, la luce di Dio. C’è San Giovanni della Croce, ci sono spunti che in effetti sembrano scomparsi dall’universo musicale del nuovo millennio.
Una scaletta composta da vecchi successi eseguiti nuovamente accanto a nuove composizioni, alcune piccole gemme e variazioni sullo stesso tema. E’ il caso di You Can Do (Whatever)!, originariamente programmata per la colonna sonora di Harold e Maude ma non terminata. Oppure Grandson, canzone che vanta innumerevoli ritocchi e tentativi di riproposizione. In definitiva, il mondo di Cat Stevens filtrato dalla saggezza del tempo. Non è un capolavoro, The Laughing Apple. Solo un bel disco che riconcilia con il mondo.
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