Zola Jesus, Arkhon e il perturbante (nelle intenzioni) attraente
Nella storia di Tomtomrock le stroncature non sono poi così frequenti, giacché l’idea fondante è di parlare di musica come emozioni e storie belle – anche se non necessariamente felici – da condividere. Sorprende dunque che per la seconda volta – su due… – il nostro sito tratti male Zola Jesus. Era successo con Okovi e ora si replica con Arkhon.
Zola Jesus: il cammino verso il nuovo disco
Tutta la carriera discografica di Nika Roza Danilova (vero nome di ZJ) è stata all’insegna di ansia, disagio, nevrosi, voce sopra le righe e tanti referenti culturali fighi. Arkhon (Sacred Bones) è il suo disco più curato e strutturato, messo in piedi dopo un grave blocco creativo (giusto per non farsi mancare nulla…) con l’aiuto di Randall Dunn e del percussionista Matt Chamberlin. Quanto ai temi, entrano in gioco gnosticismo, sciamanesimo, mitologia egizia, misteriose mummie centro-asiatiche. Il libro rosso di Carl Gustav Jung, L’Anti-Edipo di Gilles Deleuze. Anche qui, dunque, l’imperativo è non farsi mancare nulla.
A dispetto del dispiego di suoni e cultura Arkhon non convince
Il guaio è che tanta fascinosa materia si trasforma in una sequenza di brani gonfi e roboanti (fa eccezione Desire per voce e piano eppure sovraccarica), meno stridenti rispetto al passato e con un evidente tentativo di rendere attraente il perturbante. Ovvero il contrario di quello che si ascolta nei dischi di un’artista in teoria simile – e lei sì davvero perturbante – quale Lingua Ignota.
A prescindere dalla densità culturale, che non è per forza di cose una colpa se non si trasforma in auto-importanza, il problema è quello di una noia collosa, ulteriormente inspessita dalla quasi totale assenza di momenti davvero sorprendenti o di strutture melodiche anche solo vagamente memorabili. Come a dire che arrivare alla fine del programma è una fatica insensata e, alla resa dei conti, inutile.
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