di Antonio Vivaldi
Tanta testa: eccola una delle caratteristiche istituzionali del cosiddetto art-rock. Ne sono un perfetto esempio i Field Music dei fratelli Peter e David Brewis, da oltre un decennio cocchi di una critica che li stima e li ammira. Anche per il secondo album di David Brewis come School Of Language non si può esprimere che stima e ammirazione. E qui ci si ferma. Brewis si cimenta in un territorio che rielabora in linee essenziali e moderne un suono funk-r’n’b tra Talking Heads e Parliament. Però nei due modelli c’era un certo grado di follia o di esagerazione, una tendenza naturale al sopra le righe, mentre in Old Fears tutto è ben strutturato e razionale. Qualcuno dirà che Brewis è figlio di un tempo citazionista, ma anche St. Vincent lo è, eppure fa musica che, per quanto non dissimile, sovente riesce a graffiare e graffiarsi. C’è comunque un altro punto di vista. Se si esaminano le cose in modo razionale, Old Fears appare come un disco conciso, senza fronzoli e dai numerosi sprazzi geniali. Fra questi spiccano la ritmica solo vocale che sostiene Suits Us Better e il Pharrell Williams in versione universitario secchione proposto dalla ballabile-con-intelligenza Dress Up. Il disco si chiude con un’atipica ballata ambient insolitamente venata di malinconia. Forse c’era stato qualche problema con il pc.
6,9/10
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School Of Language – Dress Up