di Antonio Vivaldi
Durante dieci anni di carriera i danesi trapiantati negli Stati Uniti Raveonettes sono riusciti a essere semi-tutto: semi-famosi, semi-cult, semi-noir e, alla resa dei conti, semi-affascinanti. Il nuovo album di Sune Rose Wagner e Sharin Foo segna un cambiamento nella forma ma non nella sostanza. E’ infatti più ricco quanto a suoni rispetto ai lavori precedenti, però senza i vertici da barocco notturno di Lana del Rey, ed è più viscerale nei testi senza però essere davvero comunicativo. Lo si può paragonare a un’altra uscita recente, l’esordio degli Alvvays, nel suo fondere gli anni ’60 di Phil Spector e Françoise Hardy con gli anni ’80 di C-86 e My Bloody Valentine (qui c’è più noise e meno surf) , anche se rispetto ai giovani canadesi il coinvolgimento emotivo risulta minore. La si può definire musica per gallerie d’arte problematica o per feste hipster e questo rischia di non essere nemmeno un semi-complimento.
6,5/10
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The Raveonettes – The Rains Of May