di Renato ‘Campominato’
Tom Petty e gli ultimi passi incerti.
Dal 1999, quando uscì l’ottimo Echo, la carriera di Tom Petty sembrava sul punto di imboccare la strada dell’inesorabile declino, tra un The Last DJ da dimenticare, la reunion con i Mudcrutch, Highway Companion senza gli Heartbreakers e l’album blues Mojo di 4 anni fa, tutti lavori che non avevano convinto fino in fondo. Vi erano quindi grosse aspettative per quello che era stato annunciato come il ritorno al rock’n’roll degli esordi. Quando ci si trova di fronte ad un disco nuovo di una delle icone del rock americano non è semplice mettersi nella posizione che consente di coglierne il contenuto reale dalla giusta prospettiva, senza che questa venga alterata da paragoni con quelli che dal lontano 1976, anno del debutto dell’artista, sono diventati grandi classici.
Hypnotic Eye segna un buon ritorno per Tom Petty
Ma Hypnotic Eye è sicuramente un buon disco di rock-blues, composto da brani di alto livello come Red River, All You Can Carry, Fault Lines e American Dream Plan B, dove le melodie che hanno sempre contraddistinto lo stile del rocker si fondono perfettamente con grandi riff di chitarre sempre in primo piano (in alcuni casi anche troppo ingombranti), con momenti più rilassati ma ugualmente intensi come Full Grown Boy e altri dove Petty rivisita il suo repertorio (e non solo) in un modo che va oltre qualche semplice accenno (Forgotten Man, U Get Me High, Burn Out Town).
Per contro, in Power Drunk, Sins Of My Youth e Shadow People si nota pesantemente l’assenza di quella freschezza e quell’estro che vanno oltre la buona tecnica e il mestiere. Anche se lontano dalle appassionanti atmosfere di Wildflowers, che personalmente considero una vetta artistica difficilmente raggiungibile nuovamente, da Tom Petty non credo fosse lecito aspettarsi di più e ci si può dunque unire a chi festeggiacome Hypnotic Eye il ritorno in grande spolvero di uno dei propri beniamini.
7,5/10