yo la tengo

yo la tengo

 

di Antonio Vivaldi

Ascolti gli Yo La Tengo e pensi alla fine degli anni ’90, strano e interessante periodo del ‘dopo’: uccisa da un colpo di pistola alla testa l’epopea grunge, saliva con cautela alla ribalta il post-rock: i musicisti indie non pretendevano più di suonare nuovi, anzi ammettevano di ispirarsi a questo a quello, amavano parlare di musica altrui, avevano l’aria buona e alla buona e somigliavano molto ai loro fan, ovvero ai tipi un po’ sfigati che passavano le giornate nei negozi di dischi. Fu nella seconda metà degli anni ’90 che gli Yo La Tengo incisero i loro dischi più importanti  (già a partire dai titoli: I Can Hear The Heart Beating As One, and Then Nothing Turned Itself Inside-Out), capaci allo stesso tempo di essere intelligenti e suadenti, colti e intensi, noise e melodici, insomma perfetti manifesti sonori del periodo. Data questa caratterizzazione così forte, viene da chiedersi se abbia ancora senso ascoltare, nel 2013, il nuovo album del trio di Hoboken. A giudicare dai riscontri molto positivi di stampa e siti angloamericani, pare proprio di sì. Fade non dice nulla di nuovissimo, ma rispetto ai titoli citati abbrevia la durata dei pezzi e, nella parte centrale, si accosta con sapienza e buone melodie all’ambito folk-psichedelico oggi di moda. A parte le considerazioni di genere, è probabile che il disco piaccia perché suona balsamico e rassicurante (in tempi che sono l’esatto contrario) e che, come l’albero in copertina, gli Yo La Tengo diano l’idea di essere solidi e destinati a durare nel tempo anche se lontani dalle città del nuovo. 

7,4/10

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