di Antonio Vivaldi
Nell’articolo sugli anni ’80 americani da noi pubblicato pochi giorni fa non si faceva menzione degli Yo La Tengo, in realtà un perfetto esempio della musica alternativa nata in quel decennio, con un suono tra il sommesso e lo sperimentale associato a un aspetto da nerd ante-litteram. L’album di cover-e-qualcos’altro del 1990, Fakebook, mostrava il coté più delicato del gruppo di Hoboken insieme alla sua passione per oscuri titoli da topi di discoteca. Oggi Stuff Like That There dice che da allora poco o nulla è cambiato, al punto che lo si può considerare a tutti in effetti un sequel a 25 anni di distanza (un primato nella storia del rock?), magari un po’ meno brillante e un po’ più malinconico. E’ un disco delicato e lieve che non accelera quasi mai il ritmo senza per questo suonare sciapo, che gioca con il country, il jazz e un minimo di noise e che rende l’ennesimo omaggio ai Velvet Undergroud del terzo album. Ira Kaplan e Georgia Hubley cantano con placida naturalezza contribuendo all’impressione di una rilassata session dove non si hanno pretese di epicità ma si vuole fare le cose per bene, rendendo omaggio a colleghi poco noti oppure riprendendo qualcosa del proprio repertorio (ci sono anche un paio di nuove composizioni, in verità non memorabili). I pezzi famosi sono giusto due: I’m So Lonesome I Could Cry di Hank Williams, desolata senza far drammi, e Friday I’m In Love dei Cure, in una versione folk da cameretta che, a seconda dei gusti, può risultare amatoriale oppure adorabile. Chi scrive propende per la seconda ipotesi e la estende all’intero album, uno dei più rassicuranti del 2015.
7,8/10
P.S. Disco rassicurante? Guardate un po’ questo video, magari ironico, ma…
httpv://www.youtube.com/watch?v=jJwTSTlpsak
Friday I’m In Love