John Vignola analizza la ‘restaurazione contiana’ e non se ne duole troppo, anzi…
“Il Festival di Sanremo 2015 sgombra il campo da un equivoco creatosi durante le edizioni precedenti. Mi spiego meglio: con Fabio Fazio al timone, ma anche prima di lui, il Festival aveva cercato di darsi una patina intelligente-popolare, con il risultato di non essere né intelligente né popolare, venendo quindi punito con un progressivo calo di ascolti. Si è detto che sotto la direzione di Carlo Conti si è finiti sotto il tallone dei talent show, che si è perso il rapporto con la grande autorialità a cui in precedenza si guardava con più attenzione. Intanto una prima considerazione al riguardo: salvo eccezioni, Sanremo è sempre stato un evento legato alla performance delle canzoni più che alla loro scrittura, nasce per fare soldi con le canzoni. Guarda caso le prime edizioni si tenevano non all’Ariston ma in un posto in cui giravano tantissimi soldi: il Casinò. La grande autorialità ha sempre avuto un rapporto faticoso e occasionale con Sanremo; tanto per fare un esempio, Umberto Bindi ha proposto la sua canzone più famosa, Il nostro concerto, a Canzonissima e non al Festival.
httpv://www.youtube.com/watch?v=_EWnbIco82U
Umberto Bindi – Il nostro concerto
Sia come conduttore che come direttore artistico, Conti ha dunque operato una restaurazione. Intanto, ha scelto solo canzoni d’amore; persino quella del ‘rapper’ Moreno lo è. In secondo luogo ha capito che ormai il Festival è un evento che piace alle mamme piuttosto che alle figlie e ha condotto tutte le puntate in modo ‘trasparente’ e antiretorico (peccato solo che abbia portato comici che non fanno ridere), redarguendo Biggio e Mandelli alla prima parolaccia pronunciata. In tal modo è stato abbandonato dai porno-snob e dai radical-chic che seguivano Fazio magari tramite i ‘social’, ma ha ottenuto ascolti trionfali e consensi numericamente molto maggiori sui canali cosiddetti tradizionali.
Dite che il rock era assente? Meglio così. Ci siamo tolti dall’imbarazzo di cose che volevano essere rock ma non ci riuscivano per colpa loro o della situazione. Ciò detto, il quadro sonoro delineato dai primi tre classificati è abbastanza articolato: la raffinatezza di Malika Ayane e la disco anni ’80 di Nek si sono presi i posti d’onore restando in un ambito risaputo. Sui vincitori vale invece la pena arrischiare considerazioni ardite. Il Volo è melodramma e romanza, kitsch e barocco. Possiamo immaginare una linea caricaturale che unisce il trio ai Four Seasons di Frankie Valli: è sempre la stessa immagine di italiani (o figli di italiani) con belle voci quella che all’estero che fa il botto.
Per quanto mi riguarda, ripensando a Sanremo 2015, tiro un sospiro di sollievo per questo ritorno alle origini. Anche se non c’è stata neppure una canzone che si salvasse.”
httpv://www.youtube.com/watch?v=3pWBnodrR1M
The Four Seasons – Medley
PS. “Molto si è detto a proposito della stecca di Gianna Nannini. Vale la pena precisare una cosa: al Festival di Sanremo stonare è facile come bere un bicchiere d’acqua. L’acustica del Teatro Ariston fa sì che i suoni dell’orchestra arrivino sempre in ritardo al musicista con gli esiti che si possono immaginare e, a volte, ascoltare.”
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