Per la nuova puntata della sua rubrica, John Vignola (Radio 2, Vanity Fair, Il Mucchio) ci propone qualcosa di misterioso. “È un pezzo pubblicato nel 1995 sul n. 1 della fanzine Magic Fuzz, curata da me e Sergio Pagnacco. Per caso, ne ho ritrovato pochi giorni fa una copia. Ricordo che il testo mi arrivò tramite un amico e davvero non ho idea di chi abbia scritto questa stroncatura di The Dark Side Of The Moon. Però il nome sa tanto di pseudonimo”. Per la verità, la prosa del misterioso John Lostronco a noi ricorda vagamente qualcuno…
I DISCHI DEL PASSATO CHE ABBIAMO ODIATO E CONTINUIAMO A ODIARE
PINK FLOYD “The Dark Side Of The Moon” Harvest
Ultimamente The Dark Side Of The Moon ha mietuto un altro, estremo alloro. Musica e Dischi lo ha votato miglior album rock di sempre. Sarà bello allora spiegare ai nipoti, davanti al consueto camino, che i Pink Floyd da amare sono altri, quegli ingenui ragazzotti capeggiati da un certo testamatta, e che, scavalcando il fatto di non essere grandi musicisti, – ma artisti veri, sì! – innescavano mille micce minimal- spaziali, martoriando chitarre, bassi, batterie, tastiere sui palchi variopinti di UFO e Alexandra Palace, alle porte di un dorato crepuscolo.
Uno di loro, appunto, ci rimise la testa. Gli altri continuarono una vorticosa ascesa commerciale/discesa creativa che ad ogni gradino perdeva qualcosa. Così, se A Saucerful Of Secrets ancora incantava e Ummagumma conservava bene le eccentricità originarie, con Atom Heart Mother i Floyd annunciavano di avere irrevocabilmente deciso da che parte stare. Via le camicie a pois, un occhio alla classifica e velleità artistiche ‘colte’. Su questo solco si colloca il nostro oggetto di esecrazione.
La parte scura della luna è abitata dagli interminabili assolo di Gilmour, una chitarra glaciale e ruffianamente magniloquente, da qualche giochino elettronico confezionato ad hoc da Alan Parsons, dalla dimenticabilissima voce di Roger Waters e dalle sue paranoie di alienato à la page, dalla eterea assenza di Richard Wright e Nick Mason – ‘tape effects’ fra l’altro.
La desolazione che un brano da classifica come Money suscita è tanta: sax di plastica, chitarrina imbelle, testo falsamente profondo. Come Time del resto, dove Roger Waters approfondisce tematiche ‘esistenziali’ di una originalità sorprendente: il tempo fugge la vita ci distrugge!. L’inerte Us And Them avvolge con le sue spire soporifere e Brain Damage trasmette anche a noi il suo danneggiamento.
Non c’è nulla, assolutamente nulla, di vivo in questo ‘interminabile’ album. È sparito anche il gusto per la musica ipnotica che ancora in Live at Pompeii giocava una bella parte, e tutto si è adeguato, su binari di calmo piattume, stupendamente – ahimé – confezionato.
Eppure per vent’anni questo disco è stato apprezzato da una moltitudine di persone. Le stesse forse che hanno gradito anche le sempre più sconvolgenti esibizioni dal vivo e che stanno premiando l’ineludibile Pulse, un led che ti entra nel cervello e dice comprami…
Così Waters e soci sono riusciti ad annullare le loro coscienze, rendendole tanti bei mattoni di un muro invalicabile.
John Lostronco
Da Magic Fuzz, numero 1 – autunno 1995
NB: Per la cronaca, l’altro oggetto d’odio esaminato nella stessa pagina è Abraxas di Santana.
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