Nuova uscita per l’ottima Glitterbeat: Aziza Brahim – Sahari.
Come sempre le biografie degli artisti provenienti dal Sahel ci raccontano vicende umane dolorose. Storie di guerra e migrazione, di rifugiati e di ribellione, ma anche di grande forza e voglia di riscatto e di lotta per la libertà. La musica è spesso la strada maestra se non per sconfiggere l’oppressione certamente per far sentire la propria voce. Aziza Brahim è nata e vissuta in un campo profughi nel sud inospitale dell’Algeria, dove i saharawi sono stati cacciati dall’esercito marocchino. Si è poi rifugiata all’estero dove ha coltivato la passione per la musica trasmessale dalla famiglia, e oggi risiede in Spagna. Sahari è il suo quinto album, il terzo per la Glitterbeat, e rappresenta una svolta nella sua produzione. Infatti contrariamente ai precedenti, registrati dal vivo e con pochissima sovraincisione, il disco è stato registrato in diversi studi e con un’intensa attività di postproduzione.
Sahari, una direzione almeno in parte nuova per Aziza Brahim
La pre-produzione dell’album è stata affidata ad Amparo Sànchez degli spagnoli Amparanoia. A lei si deve l’introduzione dell’elettronica e delle tastiere, mentre è la stessa Aziza Brahim ad aver curato la produzione. Questa scelta ha comportato una trasformazione nella musica, che pur ispirandosi sempre in modo molto forte alla musica tradizionale del suo popolo, basti pensare alla centralità del tamburo tabal titpico dei saharawi, ha voluto aprirla a influenze occidentali al fine di arricchirne lo spettro espressivo e di renderla più fruibile a un pubblico sempre più vasto.
Il messaggio veicolato dall’artista
Non ha comunque annacquato il suo messaggio, né ha ceduto a tentazioni mainstream, tanto che con l’eccezione di un brano l’album è cantato nel dialetto arabo del Sahara occidentale e le tematiche sono quelle politiche di rivendicazione dell’indipendenza della sua terra dal Marocco e di denuncia della condizione terribile dei rifugiati costretti a vivere nei campi profughi: temi che da sempre sono al centro dell’interesse della Brahim. Anzi il discorso è allargato a tutti coloro che nel mondo vivono la difficilissima condizione dell’essere costretti a vivere fuori dalla propria patria.
La voce di Aziza Brahim in Sahari
La voce di Aziza Brahim è ovviamente al centro del disco. Una voce limpida, meravigliosa nel sapere in ogni momento venare il suo canto di un’intensa e commossa nostalgia, evocativa di sentimenti profondi e antichi, nei quali sono richiamate le sofferenze di un intero popolo. Questo sia in brani come la title track, un desert blues intriso del dolore per la lunga lontananza dalla sua terra (« Gli anni sono passati, passati, passati / Ed eccomi qui, alla disperata ricerca della mia libertà»), sia nella stupenda Ard el Hubha.
In quest’ultima, sull’andamento cadenzato, nostalgico del blues si alza una melodia dolente e vibrante a cantare una poesia del poeta saharawi Zaim Alal che parla del restare invischiati nella condizione di esiliato. «La mia patria, la terra dell’amore / La culla della mia infanzia / A te sorgono i desideri / Che abbracciano il cielo». Resta centrale anche quando si punta più sul ritmo, come nel reggae d Las Huellas, o in Leil dove la voce potente della Brahim dialoga con l’ezgarit, il suono emesso dalle donne saharawi per manifestare la gioia, e la chitarra elettrica. Musica, politica, cultura hanno trovato una felice sintesi nella musica emozionante di Aziza Brahim.
Be the first to leave a review.