Nasce durante il lockdown il sesto album degli Sleaford Mods.

Prima ci fu la rivalità sixties fra Beatles e Stones, i quali in realtà si stavano simpatici gli uni con gli altri. Una trentina d’anni dopo arrivò la disfida Blur-Oasis e le due fazioni britpop avevano in effetti scarsa stima reciproca. Da qualche mese sono iniziate le mitragliate di male parole degli Sleaford Mods contro gli Idles (a cui è seguita inevitabile replica) e qui la tensione sembra seriamente alta. Addirittura si è assistito all’ingresso in scena di un terzo incomodo cerchiobottista (un colpo agli Idles uno agli Sleaford Mods), ovvero i Fat White Family.
La polemica Sleaford Mods vs. Idles
Come a molti noto, la tenzone si svolge tutta in ambito indie-radical: Jason Williamson, vocalista degli SM e working class hero dalle credenziali inappuntabili, ha definito Joe Talbot, frontman degli Idles, un “inutile idiota” non in grado di raccontare la vita delle classi povere a causa delle sue origini borghesi – insomma un voyeur del disagio. Si tratta di un tema già ampiamente trattato e non solo in musica (dove ha ispirato la più celebre canzone dei Pulp, Common People) nel quale si rischia di girare a vuoto. Oppure di dare ragione a tutti e nessuno. Meglio allora trasferire la sfida in ambito sonoro, giacché quattro mesi fa gli Idles hanno pubblicato Ultra Mono e ora gli Sleaford Mods replicano con il loro sesto lavoro, Spare Ribs.
Ultra Mono è piaciuto a quasi tutti e fra i rari dubbiosi c’è stato proprio Tomtomrock. Qualche dubbio preventivo riguardava pure Spare Ribs; la modalità rap-post punk del duo di Nottingham corre da sempre il rischio di trasformarsi in formula e dunque si sperava di vedere confermate le variazioni sul tema proposte nel 2019 dal notevole Eton Alive.
Spare Ribs è una bella conferma
La conferma c’è stata; anzi, si può parlare di miglior disco dei due insieme a Divide and Exit del 2014. Se questo poteva contare sull’effetto sorpresa e su un furore socio-sonico devastante, Spare Ribs risulta più vario, articolato e (con verbo in teoria improprio dato il contesto) più pensato.
In realtà la tensione espressiva resta al massimo e un sacro furore continua a possedere le rime di Jason Williamson, sempre attente al qui e ora, alle crescenti diseguaglianze sociali. Il titolo è all’insegna del pessimismo, come ha spiegato Williamson al NME: “[Abbiamo pensato] alla quantità di persone morte durante la prima ondata del Coronavirus. Per le élite le vite umane sono sempre sacrificabili. Corriamo tutti il rischio di diventare costolette di maiale”.
E poi c’è la situazione politica del paese raccontata icasticamente nell’iniziale The New Brick: “Siamo tutti così conservastufi, oppressi da menti così piccole/ La spiaggia è fottuta, altro che Point Break/ Qui il surf non lo fa nessuno”. Il vituperato partito al governo ritorna in Shortcummings. Il pezzo è dedicato a Dominic Cummings, il consigliere fidatissimo di Boris Johnson costretto a dimettersi per aver infranto le leggi sul lockdown spostandosi a suo piacimento durante la prima fase del Covid-19.
Eccolo qua, pressoché inevitabile nei nostri discorsi, il Covid. L’infame nemico di tutti noi ha fra i suoi pochissimi meriti quello di avere consentito a Williamson e al suo ‘musicista’ Andrew Fearn di elaborare il loro nuovo progetto con maggior calma e con quell’articolazione di cui si diceva.
Vecchio e nuovo in Spare Ribs
Diversi momenti vivono su guizzanti linee di basso che richiamano la new wave delle origini (Gang of Four, diciamo). In più Nudge It e Thick Ear hanno persino qualcosa che somiglia a un ritornello o a una frase abbastanza cantabile. La vera novità è rappresentata dalle voci femminili che duettano con Williamson: Amy Taylor in Nudge It e Billy Nomates in Mork N Mindy che, grazie a lei, prende un piega un pochino soul.
Certo, non mancano i passaggi più tradizionalmente biliosi (tra Pop Group e Prodigy) come Top Room o I Don’t Rate You, tuttavia la genialità minimalista eppure potente delle basi di Fearns brilla ancor di più dove esplora territori insoliti. Affascina la spettralità con improbabili reminiscenze jamesbondiane di Out There, perfettamente collegata a un testo che visualizza tutti gli elementi vecchi e nuovi della crisi attuale: “Esco, mi passo la mano tra i capelli. Voglio dire al tipo che sta bevendo vicino al negozio/ Che non c’entrano gli stranieri e non c’entra il fottuto Cov, ma a lui non interessa”.
Ancora più bella, un capolavoro per dirla tutta, è la conclusiva Fish Cakes, quasi di sicuro la prima vera ‘canzone’ degli Sleaford Mods, struggente come da loro non ci si sarebbe aspettato: “E quando la cosa importava/ E importava sempre/ Almeno vivevamo.” Non ci dicono, Williamson e Fearns, se oggi viviamo oppure no. La risposta al prossimo album?
P.S. Prima di dimenticarcene, la guerretta musicale fra Sleaford Mods e Idles la vincono a mani basse i primi.
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