Patt Smith M Train articolo

Patt Smith M Train articolo

La fine d’anno si avvicina e M Train di Patti Smith potrebbe essere il nostro “libro rock” del 2016

Non è facile mostrare in che cosa consista l’arte della scrittura per Patti Smith in questa sua ultima prova letteraria, a metà strada tra il memoriale, il diario di viaggio, la confessione, l’autobiografia intima. M Train (Penguin Random House, New York 2015; trad. it. di T. Lo Porto, Bompiani, Milano 2016) è un curioso amalgama di piccole epifanie nel cuore della quotidianità, aneddoti, squarci di vita vissuta che svariano dal sapore del caffè, la pagina di un poeta amato, un barlume di ricordo che annega il presente, alla variazione atmosferica che modifica di qualche grado la percezione dell’istante, e sposta l’attenzione verso forme sempre nuove.

Patti  Smith: scrittura come la tessitura di un tappeto

Per Patti, in effetti, la scrittura non si afferma come versione particolare di una regola generale ma come dimensione concreta, istantanea. Per lei, ogni forma di bellezza è singolare. Interessata alle trame visibili e invisibili della vita, Patti intesse pagina dopo pagina i suoi fili, annodando nel suo stravagante tappeto le figure più singolari e apparentemente inconciliabili: una strana confraternita a Berlino di cui è adepta, dedita alla memoria di Alfred Wegener, geologo ed esploratore, autore di studi sulla deriva dei continenti; i misteriosi universi paralleli dei romanzi di Murakami; Sarah Linden, la protagonista della serie televisiva The Killing, nella convinzione che i detective delle series di oggi, di cui Patti è assidua frequentatrice, siano gli eredi dei poeti dell’Ottocento, tanta è la loro dedizione alla ricerca della verità.

Si riconoscono tra le sue pagine alcune predilezioni, nomi, voci, sonorità che ritornano nella scrittura come motivi musicali. Ma la sua scrittura non corrisponde a una prosa musicale, è invece curiosamente atmosferica, pulviscolare, capace di intercettare le cose in un fascio di luce insolita, così come le sue polaroid in bianco e nero che tanto ricordano la fotografia americana di fine Ottocento. Figura tra le pagine del libro una scelta di immagini intonata ai suoi inquieti vagabondaggi ai quattro angoli del mondo alla ricerca della parola e dell’inquadratura perfette: figurine giapponesi, il bastone da passeggio di Virginia Woolf, insegne di caffetterie sparse in ogni dove, vestaglie fantasma, il tavolo ovale del giardino di Schiller a Jena che ricorda una fonte battesimale, stazioni ferroviarie di innevate località nipponiche, le rotaie nel deserto in Namibia.

Chi è “il mandriano”?

Il libro è anche costellato di sogni: sogni nitidi, daydreaming, sogni profetici e visionari. Al confine tra veglia e sogno, incombe la figura elusiva del mandriano: inquietante personaggio un po’ lynchiano un po’ filosofo, il quale rivela le sue verità per cenni, così come la certezza che alla fine del viaggio sarà dato di impadronirsi di quel cardine che tiene assieme l’immaginazione e il mondo, riuscendo a scorgere le proprie mani in sogno.

print

Lascia un commento!

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.