Ryley Walker @Santeria Social Club Milano

Ryley Walker @Santeria Social Club Milano

C’era una certa attesa per il ritorno di Ryley Walker in Italia dopo i due concerti del 2015; nel frattempo è uscito un disco in duo con il chitarrista Bill MacKay e soprattutto Golden Sings That Have Been Sung, che ha destato qualche perplessità qui a TomTomRock, ma che ho personalmente consumato in ripetuti ascolti (come peraltro la recensione consigliava di fare).

Dal vivo Ryley Walker  è più jazz rispetto agli album in studio

Preceduto dal duo folk inglese Josienne Clarke e Ben Walker (chitarra e voce angelicata, piuttosto conosciuti in patria), il ventisettenne Ryley da Rockford, Illinois, si è presentato sul palco con un altro chitarrista, un tastierista e un contrabbassista, in linea con una vena dichiaratamente jazz, confermata dalla scelta del batterista, Frank Rosaly, uno abituato a frequentare territori free con il suo trio Hearts and Minds, autentici devoti del culto di Sun Ra.

D’altra parte la svolta verso territori più contemporanei (perlomeno dal punto di vista dell’inquinamento musicale) era già stata esplicitata nel nuovo album: mentre nel precedente Primrose Green i numi tutelari erano apparsi John Martyn e il Tim Buckley più lirico, ora al loro fianco (l’ultimo, serbato nella versione più lancinante) si intravedono le ombre di una sorta di psichedelia mista al blues e al soul, in cui la lezione degli Allman Brothers, fatte le debite proporzioni,  è stata assimilata e rielaborata perfettamente.

Il risultato è una musica molto energica, spesso ipnotica al limite del ‘surplace’, in cui i brani – The Roundabout, The Halfwit In Me, Funny Thing She Said – sono riletti con grande veemenza e con un suono volutamente al confine con il fragore, con le due chitarre a squarciare il tappeto formato da una ritmica impeccabile e da tastiere piacevolmente vintage.

Suono coinvolgente, scrittura da affinare

Tra battute sul suo alcolismo, qualche parola in italiano, soprattutto in omaggio a una marca di birra con l’effigie di un vecchio baffuto, e una direzione musicale sempre rigorosa e decisa, si arriva al momento risolutivo della serata, una cover di Van Morrison, Fair Play (da Veedon Fleece); risolutivo perché se da un lato se ne apprezza la rilettura davvero originale e centrata, dall’altro si evidenzia per confronto la scrittura ancora acerba di Walker, in grado di affascinare più per una sensazione generale che per un titolo in particolare.

Due bis, uno in solitudine e uno con la band, hanno concluso il live tra la grande soddisfazione delle (circa) duecentocinquanta persone presenti.

 

 

 

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Da ragazzo ho passato buona parte del mio tempo leggendo libri e ascoltando dischi. Da grande sono quasi riuscito a farne un mestiere, scrivendo in giro, raccontando a Radio3 e scegliendo musica a Radio2. Il mio podcast jazz è qui: www.spreaker.com/show/jazz-tracks

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