Dal Mali la musica dei Songhoy Blues: Héritage, come la tradizione che rappresentano.
Héritage è il quarto album del quartetto Songhoy Blues originario del Nord del Mali e appartenente all’etnia songhoy, da tempo vivono nella capitale Bamako per l’impossibilità di tornare alle loro case per l’imperversare di una guerriglia fondamentalista che ritiene la musica un peccato contro dio. Con questo disco il gruppo che aveva ormai una consolidata fama per il suo rock blues energico ed elettrico, tanto da meritarsi l’appellativo di ‘Clash d’Africa’, opera una svolta verso una musica prevalentemente acustica, la strumentazione si arricchisce di strumenti tradizionali come la kora, kamalengoni, soku, flauto, xilofono e varie percussioni. La chitarra solista di Garba Toure privilegia un fingerpicking complesso e raffinato capace di disegnare paesaagi emotivi di grande forza evocativa.
La multiculturalità di Bamako
Pur mantenendo il forte legame con la loro regione d’origine, il disco è profondamente influenzato dalla vita e dalla musica di Bamako, città in cui convergono le varie etnie e le culture presenti nel paese, e dove si respira un clima di apertura e maggiore libertà. i Songhoy Blues hanno infatti invitato a partecipare alle registrazioni vari musicisti e cantanti ivi residenti. Come spiegano sul loro sito “Héritage rappresenta il riconnettersi del nostro suono con lo spirito della nostra cultura maliana e col fiume della nostra tradizione. Mostra sia la nostra incredibile diversità che ciò che ci unisce come popolo maliano”. Anche i testi rispecchiano questa volontà di farsi interpreti della società maliana, trattano delle famiglie poligame, dei bambini abbandonati, dell’ipocrisia, del dare importanza al denaro, invocano la pace per il martoriato Nord del paese e il rispetto reciproco all’interno delle famiglie.
Meno desert blues e più tradizione maliana
C’è meno desert blues qui, il disco testimonia un forte richiamo verso la tradizione musicale maliana, non a caso oltre ai brani originali la band rilegge canzoni del passato come nel caso di Toukembela che apre il disco e ci dà subito un saggio del nuovo corso intrapreso, se il ritmo è sostenuto dalle percussioni calabash sono la chitarra acustica e il flauto a dare il tono folk e disteso, il risultato è eccellente, o come nella piacevole Woyenna, scritta dal defunto Dicko. Fra i momenti migliori dell’album si segnalano Nourou con un incantevole ed evocativo interplay di chitarre e kora e l’intenso canto soul di Aliou Touré accompagnato dalla grande Rokia Traoré, i fantastici arpeggi e l’assolo rock della chitarra di Boutiki, i ritmi danzanti di Dagaki con lo xilofono in evidenza o quelli caracollanti e reggae di Boroterey.
I Songhoy Blues si avvalgono dell’ottima produzione di Paul Chandler per Héritage
Hèritage si avvale dell’ottima produzione di Paul Chandler e di un missaggio che rende perfettamente distinguibile sia l’intreccio dei vari strumenti che quello delle voci, il che rende le canzoni scintillanti e affascinanti, dotate di una bella forza comunicativa. Se l’intento era quello di connettersi con la cultura del paese e riscoprire suoni e strumenti che la scelta dell’elettrico aveva tralasciati il risultato è stato raggiunto con ottimi risultati, del resto l’anima blues rimane viva e ogni tanto si fa largo in brani come Batto col suo assolo di chitarra che sa di polvere e vento. Interessante sarà vedere quale effetto avrà questa svolta fra il pubblico occidentale che aveva molto apprezzato i lavori rock della band.
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