Ennio Morricone tomtomrock

Ieri, 6 luglio 2020, Ennio Morricone se n’è volato via, dopo 91 anni sapientemente ricamati da melodie indimenticabili.

Ennio Morricone tomtomrock

Spente le luci e abbassato il sipario, ci viene da dire che il maestro romano abbia lasciato però anche un altro testamento artistico: meno visibile forse, ma addirittura più duraturo, e che vale la pena sottolineare. Oggi non passa a nessuno neppure lontanamente per la testa che la music for film possa essere catalogata come una musa minore, afflitta da un perenne complesso di inferiorità nei confronti della sorella con l’iniziale maiuscola. Non soltanto per merito di Morricone, certo, ma in larga misura grazie alla sua operosa creatività e – comunque la si voglia mettere – al suo successo popolare.

Storia delle colonne sonore

Ere geologiche paiono trascorse dal tempo in cui la “colonna sonora” passava, nella migliore delle ipotesi, per musica colta azzoppata, per un conato che proprio non ce la faceva a diventare arte. Se andava peggio, per una servetta meticolosa e paziente con cui si ride, si piange e si scherza, ma di cui ci si vergogna in società. Se andava proprio male, per nulla più che punteggiatura sonora di una sequenza d’immagini.  Lontanissimi sono gli anni in cui Nino Rota, forse il più grande compositore italiano del secolo scorso, si disperava (lui che aveva studiato con Ildebrando Pizzetti e discusso la tesi con Antonio Banfi) di dover campare di musichette, mentre nessuno voleva le sue, di opere – grandi, per inciso.

 

Molta, moltissima acqua sotto i ponti è passata da allora. Non si sarà trattato sempre di pura acqua di fonte – non lo si nega affatto – ma se nell’ultimo mezzo secolo è radicalmente cambiata la percezione del “genere” da parte dei fruitori e anche – di conseguenza – da parte di chi lo fa, lo si deve a due figure che più lontane non si saprebbero immaginare e che oggi ci piace pensare insolitamente vicine: Brian Eno ed Ennio Morricone.

Music For Films e l’influenza di Ennio Morricone

Mentre il primo, con la serie delle tre Music For Films (1978, 1983, 1988), componeva quella che potremmo definire una ‘sinfonia aprioristica per film’, i cui ‘movimenti’ solo successivamente venivano sottoposti ai registi, ribaltando così il paradigma che sottostà all’idea di colonna sonora e rivendicandone l’autonomia concettuale ed artistica, il secondo elevava, pellicola dopo pellicola, la musicaccia filmica a melodia memorabile, non di rado più memorabile dei film che serviva.

Ennio Morricone

Che nel genere possano oggi essere ricompresi tanto l’alfa quanto l’omega, da Lament degli Einstürzende Neubauten a Space Ducks di Daniel Johnston, passando per Saturday Night Fever, attiene alla sfera del postmoderno e non fa meraviglia. Che si consideri, nel ricordare Morricone, superfluo elencarne le melodie, è fatto che vale più di ogni altro come la riprova più certa di un successo che non ha eguali. Ognuno conosce, ognuno ha impresse nella memoria le proprie madeleines morriconiane, perché Morricone è anche questo: una associazione istantanea e un marchio musicale; la memoria emotiva, individuale e collettiva, di un tempo e, non ultimo, un’industria premiata con oltre 70 milioni di dischi venduti e due Oscar.

Fra Roma e Hollywood

Schivo, devoto, discreto, teorico e praticante di un silente understatement come stile di vita e metodo di lavoro, anello di congiunzione fra Roma e Hollywood quando entrambe erano molto più giovani di adesso, questo talentuoso figlio di un anonimo trombettista di Arpino è stato incondizionatamente amato dal pubblico e, con più tardiva ratifica, accolto dalla critica. Chi scrive è convinto però che sotto il velo della sua ostentata e ingannevole artigianalità, si celi un sortilegio più profondo e vero, in cui crediamo stia la imperitura capacità di Morricone di parlare, nel mutare del tempo e delle generazioni, a quella indistinta matassa di speranze, delusioni, amore, dolore e memoria che per convenzione si è soliti chiamare “cuore”, così come le astratte e gelide geometrie di Brian Eno parlano alle più algide frequenze della mente.

Elogio della Cattiva Musica

Detestate la cattiva musica, non disprezzatela. Dal momento che la si suona e la si canta ben di più, e ben più appassionatamente, di quella buona, ben di più di quella buona si è riempita a poco a poco del sogno e delle lacrime degli uomini”, scriveva Marcel Proust nel suo Elogio della Cattiva Musica. Inimmaginabile che si possa dir meglio e forse il segreto della musica di Ennio Morricone è in fondo semplice e sta tutto qui, nell’essere impastata al sogno, ai desideri e delle lacrime di tutti noi e nel dono che è solo degli eletti – come scriveva Franco Califano – di vestire d’eterno le ore.

 

Nessuna Deborah potrà mai spogliarsi sotto gli occhi stupefatti del suo Noodles se non sulla brezza carezzevole di Amapola e mai nessuna lettura del Cantico dei Cantici potrà farsi rifiuto più struggente di quello recitato da Jennifer Connelly sulle ali del Deborah’s Theme. Perché quella cattiva musica ha catturato, una volta per tutte, l’essenza dell’amore e del disamore, della memoria e della perdita che è di ciascuno e di tutti noi.

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Ha iniziato ad ascoltare musica nel 1984. Clash, Sex Pistols, Who e Bowie fin da subito i grandi amori. Primo concerto visto: Eric Clapton, 5 novembre 1985, ed a seguire migliaia di ascolti: punk, post punk, glam, country rock, i pertugi più oscuri della psichedelia, i freddi meandri del krautrock e del gotico, la suggestione continua dell’american music. Spiccata e coltivata la propensione per l’estremo e finanche per l’informe, selettive e meditate le concessioni al progressive. L’altra metà del cuore è per i manoscritti, la musica antica e l’opera lirica. Tutt’altro che un critico musicale, arriva alla scrittura rock dalla saggistica filologica. Traduce Rimbaud.

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