Bronski Beat: una storia complicata
“Inizia dall’inizio e prosegui fino alla fine: poi, fermati”, suggeriva il Re di Cuori ad Alice, nel famoso libro di Lewis Carroll. Cercherò anche io di seguire questo consiglio, però non sarà semplicissimo trovare un principio a tutta questa faccenda. Potrei iniziare parlando dell’allagamento che ha colpito lo scantinato del Signor Freitag, a Friburgo in Brisgovia, distruggendo irrimediabilmente la busta interna del disco. Quella esterna, in cartoncino lucido, sono riuscito a salvarla in tempo facendola asciugare sul calorifero, anche se è rimasta un po’ rovinata dall’acqua. Però c’è da dire una cosa: se non ci fosse stato quell’allagamento, a quest’ora il Signor Venerdì non mi avrebbe regalato i suoi vinili anni ’80 alluvionati, quindi alla fine è andata bene così… Scommetto che non ci avete capito niente, vero? Ecco, lo sapevo che non sarebbe stato facile raccontare questa storia.
Il 33 giri di The Age of Consent
Proviamo in un altro modo, facendo un ulteriore passo indietro. Vi racconterò di quando Mauro, redattore di TomTomRock e grande esperto di musica anni 80, mi ha parlato per la prima volta di questo album e del perché fosse così importante possederne anche la busta interna. No, no… Non va bene neppure così, perché non ha senso parlare di una busta interna, se prima non si è detto cosa c’è fuori. E poi nemmeno Mauro è più riuscito a ritrovare il suo 33 giri, che aveva comprato tanti anni fa, quindi io alla fine della favola questa cazzo di busta non sono mai riuscito a vederla.
Allora, dicevamo: la confezione esterna. La copertina, tanto per capirci. Che poi anche quella è significativa, perché è la prima cosa che uno guarda, di solito, quando prende in mano un disco. Nel nostro caso è nera, con alcune figure geometriche colorate nel mezzo. Fra queste spicca un triangolo rosa, che viene riproposto anche sul retro, da solo, quasi a rimarcarne l’importanza.
Il significato storico dell’esordio dei Broski Beat
Stiamo parlando di The Age Of Consent (London Records – 1984), l’album di esordio del gruppo britannico dei Bronski Beat. Forse è questo il vero inizio della storia che vi voglio raccontare. O forse no, visto che amavo già alcune loro canzoni prima ancora di conoscere il titolo dell’LP ed il suo significato. In ogni caso The Age Of Consent, ovvero l’età del consenso, è l’età minima che una persona deve avere, ai fini legali, per poter essere considerata consenziente in un rapporto sessuale. Nel Regno Unito, ai tempi in cui l’album fu inciso, questa età era più alta per i rapporti tra le persone dello stesso sesso e spiccava come una delle più elevate in Europa: 21 anni contro la media di 16. Del resto, se il triangolo rosa ci ricorda il marchio con cui venivano contrassegnati i prigionieri omosessuali nei lager nazisti, va notato che nei paesi anglo-sassoni, all’epoca, non è che la situazione fosse tanto migliore. Emblematico, quasi paradossale, è il caso dell’inventore del moderno calcolatore elettronico, il fisico londinese Alan Turing, che con le sue ricerche ha permesso agli Alleati di decifrare i messaggi in codice del nemico durante il secondo conflitto mondiale. Per tutto ringraziamento, nel dopoguerra fu arrestato con l’accusa di sodomia e, non potendo reggere l’umiliazione delle “cure” ormonali che gli venivano regolarmente somministrate in carcere, si tolse la vita in maniera fiabesca, mangiando una mela avvelenata.
Tornando a The Age Of Consent, abbiamo dunque a che fare con un concept album che ruota intorno al tema della discriminazione nei confronti degli omosessuali. È proprio sulla famosa busta interna che appaiono stampate, a titolo polemico, le leggi che disciplinano l’età del consenso nelle varie nazioni occidentali. Per i Bronski Beat la protesta ha una forte connotazione personale, visto che tutti e tre i membri del gruppo synthpop sono gay dichiarati. Steve Bronski, che dà il nome alla formazione, si occupa dei sintetizzatori, delle percussioni e della composizione dei brani, affiancato da Larry Steinbachek.
La voce dei Bronski Beat
Il vero frontman del gruppo, però, è il cantante Jimmy Somerville: scozzese di Glasgow, migra a soli 19 anni, nel 1980, in quel calderone di tendenze, idee e movimenti che è la Londra dell’epoca. È proprio nel contesto delle comunità gay londinesi che Somerville conosce gli altri due musicisti, fondando i Bronski Beat. Il pubblico rimane subito incantato dalla sua eccezionale voce in falsetto, raffinata ma incisiva, che caratterizza più di ogni altra cosa i brani della neonata band. Anche la musica, però, fa la sua parte, con un’elettronica veloce e coinvolgente, che sembra voler giocare con i suoni. Lo stile oscilla tra la New Wave e l’Hi-NRG e contribuisce parecchio a sdrammatizzare l’argomento trattato, evitando abilmente il rischio che tutto possa degenerare in un noioso piagnisteo.
La bellezza della voce di Somerville, il carattere giocoso dell’elettronica e la ballabilità della musica, che riesce ad essere originale ed orecchiabile allo stesso tempo, hanno fatto sì che The Age Of Consent riscuotesse un ottimo successo commerciale in tutto l’occidente ed in particolare in Europa, a prescindere dal messaggio impegnato che portava con sé.
Smalltown Boy
Il primo singolo, Smalltown Boy, ha addirittura raggiunto la vetta delle classifiche in Italia, Belgio e paesi Bassi, collocandosi al terzo posto nel Regno Unito. Si tratta, in effetti, del miglior pezzo dell’album, dove Somerville esibisce più che mai le proprie capacità vocali e canta una storia con forti elementi autobiografici. Lo smalltown boy del titolo è una giovane vittima del bullismo omofobo, un giovane costretto a trasferirsi in città perché nel piccolo paese dove vive nessuno accetta la sua omosessualità. Da quando è stato aggredito da un gruppo di teppisti, tutti hanno iniziato a vociferare su di lui, quasi fosse stata sua la colpa. L’unica soluzione è andare via, mollare tutto: il ragazzo parte in treno al mattino e porta con sé soltanto una valigetta nera, con dentro le sue poche cose, e la soddisfazione di non aver mai pianto davanti a nessuno, se non nel profondo della sua anima.
Un video che ha fatto storia
Molto ben riuscito anche il video, che ricalca a grandi linee la storia raccontata nel testo e dove il ruolo del protagonista è recitato, come è facile aspettarsi, dal cantante stesso. Belle le inquadrature in corsa dei binari e degli scambi ferroviari, efficace la scena in cui il padre, sulla soglia, consegna freddamente una banconota al figlio in partenza e rientra subito in casa, rifiutando la stretta di mano che il ragazzo gli offre come commiato.
Il secondo singolo, Why, è il brano più allegro e ballabile dell’intero LP. Qui il tema della discriminazione viene trattato in maniera più elementare, meno introspettiva. Ai soliti bulli che, ben barricati nelle loro finte sicurezze, apostrofano con parole di disprezzo e picchiano a sangue il “diverso” di turno, viene rivolta una domanda semplice quanto disarmante: perché?
https://youtu.be/ZozYFQeUjIY
Il terzo singolo, pubblicato più o meno contemporaneamente all’album, è una cover di It Ain’t Necessarily So, canzone tratta da una celebre opera lirica dei fratelli Gershwin (Porgy And Bess, 1935), dove si mette in discussione l’autenticità di ciò che viene raccontato nella Bibbia. Ascoltandola nel contesto di questo LP viene subito da pensare, chissà perché, a Sodoma, Gomorra e a tutte quelle altre leggende a sfondo moraleggiante di cui è infarcito l’Antico Testamento. Gli assoli di clarinetto ed il coro maschile di sottofondo sono una vera ciliegina sulla torta e rendono il pezzo decisamente pregevole.
Degna di nota è anche la canzone Junk, l’unico pezzo in cui Somerville non canta in falsetto ma opta per toni più bassi, che si abbinano bene alle cupe linee di sintetizzatore del brano e che dimostrano una buona versatilità (purtroppo mai sfruttata pienamente) del cantante. Il termine inglese “junk” significa “roba”, sia nel senso di cianfrusaglie inutili, spazzatura, che in quello di droga. Il testo contiene una pesante critica alla moderna società consumistica, dove sembra impossibile trovare un rifugio da tutta questa “junk” che ci circonda ovunque: per le strade, nei locali, in televisione e perfino nell’intimità di casa nostra.
L’omaggio a Donna Summer
L’album non poteva concludersi in maniera migliore che con una magistrale cover di I Feel Love di Donna Summer, cantata in medley con Johnny, Remember Me di Geoff Goddard e con Love To Love You, Baby, della stessa Summer. Il pezzo verrà poi ripreso in un quarto singolo, che uscirà l’anno successivo all’LP. Si tratta di un omaggio alla disco Hi-NRG, alla quale lo stile dei Bronski Beat è molto debitore, nonché un doveroso tributo alla regina della disco, nota icona gay.
Truthdare Doubledare
Nel complesso, i Bronski Beat hanno fatto davvero un bel lavoro, che merita a buon diritto un posto d’onore nella storia della musica pop. L’unico difetto che possiamo rimproverare loro è quello di essere durati troppo poco. Dopo l’uscita di The Age Of Consent, Somerville lascerà il gruppo e sarà sostituito da John Foster, con cui verrà inciso un nuovo LP nel 1986, dal titolo Truthdare Doubledare.
Ma il grande successo del singolo Hit That Perfect Beat non sarà sufficiente a tenere in vita la formazione, che nel 1987 verrà abbandonata anche dal nuovo cantante. Dopo quasi un decennio di attività dispersive e progetti lasciati a metà, i Bronski Beat si scioglieranno definitivamente nel ’95, con tre soli album studio al loro attivo, di cui il terzo, Rainbow Nation (1995), è in realtà una raccolta di brani inediti.
Jimmy Somerville
Una carriera più prolifica è toccata, invece, a Jimmy Somerville, però il cantante non è mai riuscito a raggiungere, sia dal punto di vista musicale che da quello contenutistico, i livelli qualitativi del suo primo lavoro. Lasciati i Bronski Beat, fonda i Communards assieme al pianista di formazione classica Richard Coles. Il duo dura solo un paio d’anni e, malgrado il nome ambizioso, che lascia trasparire velleità di impegno politico, la coppia è ricordata quasi esclusivamente per alcune cover di grandi classici della musica disco, come Don’t Leave Me This Way, e You Never Can Say Goodbye. Anche nel suo successivo percorso da solita, Somerville non cambia rotta e, nonostante i numerosi singoli pubblicati, ci lascia in ricordo soltanto la sua simpatica versione di You Make Me Feel di Sylvester e quella di To Love Somebody dei Bee Gees.
Ci verrebbe da dire che ci saremmo aspettati qualcosa di più da degli artisti che avevano esordito in maniera così brillante e trasgressiva, ma rischieremmo di appiattirci in una retorica sterile e scontata, che non gioverebbe a nessuno. E poi siamo arrivati alla fine della nostra storia, quindi dobbiamo fermarci, se non vogliamo fare un torto al Re di Cuori. Che se poi se la prende male, ci fa tagliare sicuramente la testa a tutti, ed io non ne avrei proprio voglia, specialmente in una bella domenica di primavera come questa.
grazie
Mi regalarono la cassetta nel dicembre 84, appena prima iniziasse il famoso gelido inverno del 1984-85, ignaro di tutte quelle cose, sia chi me la regalò, sia io.
Curioso come sono notai l’interno e tradussi con il dizionario…
Ma il momento di stupore fu subito dimenticato appena iniziai a sentire la cassetta, ove tutti i brani erano
potenzialmente dei singoli, tranne heatwave, che anche dal titolo, male si adattava al clima gelido e nevoso di quell’inverno.
A risentirlo anni dopo, devo dire che i Bronski Beat ebbero coraggio a fare dei testi de genere, e se i gay hanno molta piu libertà e accettazione nell’Europa, devono dire grazie a quell’album, perchè lanciò dei messaggi usando la musica dance elettronica dell’epoca, cioè lo strumento piu di massa che esista. Un paradosso, ma lo fecero talmente bene, non banali nella musica, e senza ostentare omosessualità ne travestirsi, in modo che anche i razzisti piu estremi, si arresero alla loro musica e quindi non ostacolando il loro messaggio
E questo è geniale. Purtroppo sia loro che Sommerville, non ripeterono piu quei livelli di sytnh-dance-elettronica , facendo successi si, ma per nulla impegnati e senza ricercare suoni nuovi