Manu Chao Monza 2

Manu Chao Monza 2

 

di Gian Luca Valentini

C’era una volta Manu Chao, un’esplosione di energia solare, avvolgente e trascinante.
C’è ancora. Uguale a com’era prima, qualche ruga in più, ma neanche tante. E poi a chi frega qualcosa delle rughe? A tutti.
Preceduto da Mellow Mood, Espana Circo Este e Raphael, niente male, il nostro è balzato fuori alle 21.20 circa viaggiando come un treno fino all’ora 00:00, qualche minuto oltre.
Scandito dai suoni tipici della sirena, Manu è instancabile. Si dedica anema e core ad un pubblico estasiato.
Qualche ambulanza di troppo per i soliti idioti ma tutto è filato liscio fino all’ultima canzone.
Certo, i prezzi erano accessibili, era l’unica data in Italia, ma stare in mezzo a quasi cinquantamila persone, nonostante il ragazzo non incida (hélas) dal 2009 un nuovo cd, fa un certo effetto.
Un pubblico dai bimbi in fasce agli ultrasessantenni.
Tutti un po’, diciamocelo, parte attiva erbivora o fumati passivamente.
Questo è il mondo, babe! Adeguarsi o uscirne.

Manu chao MONZA 1
E via, si comincia a “zompare” coi ritmi latinos della sua Argentina, del suo Perù, del suo Messico, di tutto il suo Sud America, imbandendo la tavola con tarantelle salentine – ai fiati i tarantolati Gabriele Blandini e Gianluca Ria – e con le sue canzoni franco-mondiali pour un cadeau à sa nouvelle abitation.
Residenza, si badi. Poiché il nostro, coerentemente, non va mai contro il suo essere apolide, cittadino del mondo.
Il fidato amico storico, Jean Michel Gambeat, rinforza poderosamente con la sua chitarra.. A loro si sommano la strepitosa chitarra di Madjid Fahem e la batteria del fedele compagno di palco (ed ex Mano Negra) Philippe Teboul che “tribalizza” l’ambiente fumogeno.
Manu cita i desaparecidos del Messico, quelli di questi giorni, gli argentini, le catastrofi-ecofinanziarie, ambientali, ecc. Mai con patetismo. Mai per esibizionismo. Ho adorato Sidi’h’Bibi, La Vida Tombola, Mala Vida, le versioni accelerate dei suoi classici e, appena un po’ meno quelle tradotte in reggae che, comunque, dato il pubblico, ci stavano. Vox populi.
Un “the best” eseguito in diretta, con il pubblico, sudando e giocando. Nessuno escluso. Racconta dell’amico Maradona, saluta il Maestro Tonino Carotone (peccato che non fosse lì con Simone Spreafico alla chitarra, sarebbe stata una serata ancor più indimenticabile), arricchisce l’occhio con le splendide immagini animate che scorrono coloratissime dietro la band.
Una festa ben riuscita dalla prima canzone all’ultima. Manu Chao è attento a tutto e a tutti e allunga il concerto per i ritardatari. Ritardatari?
Siamo in terra ostile, quella brianzola, dove le scritte dei paesi sono prima in lingua locale e poi in italiano, dove l’organizzazione fa cagare. O fumi o stai in coda per due ore a piedi e poi in auto poiché è prevista una sola uscita!
Ma siamo italiani. Anche ciò si trasforma in festa, sebbene con sghignazzi, incazzature e offese (meritate) verso l’ignoranza delle guardie che commentano, incredibilmente: “C’è un tappo sotto il ponte”. Poverini. Aprite verso il parcheggio…
Altro che organizzazione alla lombarda! Loro, i perfetti organizzatori! Poi passiamo di fronte all’Expo dove si vede l’organizzazione milanese, direi del nord in genere.
Vergognosa, tanto che han dovuto far intervenire la ‘ndrangheta per salvare la figura di merda mondiale. Spaventati dalle parole? Siete fra quelli che non hanno ancora capito che la mafia è ormai solo al nord?
All’Expo ci siamo passati solo guardandolo dalla tangenziale.
Il concerto mi ha lasciato tanto.
Di quelle costruzioni invece che ne sarà? Un multiplo eco-mostro che stravolgerà le notti dei bambini e delle bambine quando si affacceranno alla finestra o nel percorso verso qualche loro destinazione?
Uno smantellamento che durerà altri cinque anni per far posto a palazzi o Ogm?
Milano non è più da bere. Ora si fatica a digerirla.
Manu Chao resta, comunque.

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