Echo And The Bunnymen e la neopsichedelia.

Qualcuno ricorda quando si parlava di neopsichedelia? Siamo intorno alla fine anni 70, più inizio anni 80 e in quel di Liverpool fiorì una scena che, fregiandosi del solito termine coniato ad hoc dal giornalismo d’Albione, di cose da dire ne aveva parecchie.
Gli svettanti alfieri rispondevano al nome di Julian Cope, il neo druido che con i suoi Teardrop Explodes fece della lallazione post natale una vera e propria bandiera pop, e Ian MacCulloch detto Lips con Echo And The Bunnymen che, con una batteria elettronica, appunto l’Echo dell’egida, e due sodali quali Will Sergeant alla chitarra e Les Pattinson al basso, andò a tappare l’ennesimo buco lasciato dalla latitanza del Duca bianco in quegli anni…
The Stars The Oceans & The Moon e la carriera di Echo And The Bunnymen
Una carriera sino ad un certo punto di tutto rispetto quella dei conigli antropomorfi, almeno sino al quinto disco eponimo. Poi una serie di defezioni, scioglimenti, ricongiungimenti e via ciarlando sino ad arrivare ad oggi e a questa operina di cui mi appresto a disquisir.
Allora, trattasi di operazione nostalgia. A parte due inediti, siamo infatti di fronte a classici della band trasformati (parole loro) e quindi completamente risuonati e, soprattutto, ricantati. Ora, a parte chiedersi il senso di risuonare brani che erano assolutamente perfetti all’epoca in cui uscirono, pare di trovarsi di fronte ad un promo per i concerti dal vivo che il gruppo non ha mai smesso di elargire ai fans, per cui l’effetto è abbastanza straniante trattandosi, invece, di versioni in studio.
Arrangiamenti nuovi per canzoni già perfette
I nuovi arrangiamenti sottraggono gli originali quella vis epocale che fu e appaiono qua e la intrusioni di nuove sonorità che snaturano anziché arricchire. Pazienza, la cosa invece che trovo interessante è come la voce di McCulloch denoti sfumature anagrafiche importanti che ci restituiscono sensazioni di empatica benevolenza. Nelle corde vocali si sentono gli anni passati, i vizi e gli stravizi, i dolori dell’avanzare e talvolta la stanchezza del necessario proseguire. Insomma, uno spettro aurale molto generazionale.
I due inediti, si diceva, sono The Somnambulist e How far? Cartine tornasole che ancora qualcosa di imparare e cantare c’è ma, decisamente, considerate troppo poco per un lavoro a lunga durata che immagino tra un biennio arriverà.
Da ascoltare senza pregiudizi e senza aspettative.
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