di Marina Montesano

Benché Richard Hawley sia amato da molti, non sempre il perché è immediatamente chiaro: la sua bella voce profonda fa pensare a un Mark Lanegan meno americano o a un Nick Cave più educato, ma talvolta i suoi dischi sembrano contenitori un po’ vuoti di sostanza. Il che non si può dire del suo lavoro più recente, Standing At The Sky’s Edge, che rinuncia ai toni orchestrali e classicheggianti del precedente Truelove’s Gutter per abbracciare un rock più viscerale e a tratti psichedelico, e dove soprattutto diversi brani (anche se non tutti) lasciano il segno. Non mancano le ballate, come Seek It e Don’t Stare At The Sun, che poste al centro del disco ne rallentano il ritmo, ma il tono generale è dato dalla sequenza Time Will Bring You Winter e Down In The Woods; mentre con The Wood’s Collier Grave Hawley scrive una ballata dark-folk perfetta per il suo timbro di voce.

7,2/10

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