Il concerto di John Zorn versione New Masada Quartet a Torino, Auditorium del Lingotto, 28 aprile 2024.

Jazz is dead? Questo il bellissimo e provocatorio titolo dell’edizione 2024 del Torino Jazz Festival, a cui oggi dopo aver visto e sentito il mirabile concerto del New Masada Quartet di John Zorn ci sentiamo di rispondere che “Jazz is not dead” e nemmeno “it just smells funny”, come già nel 1973 diceva quel vecchio attaccabrighe di Zappa.

Anzi, a sentire l’ultima incarnazione del monumentale progetto Masada con gli oltre 200 pezzi in repertorio, il jazz oggi può avere un odore inebriante, quando è in grado di mischiare in modo così sapiente e stimolante suoni e umori del jazz classico, con quelli del Medioriente e poi ancora con il free, il blues e con il rock ‘n’ roll.

Una storia che parte negli anni ’90.

Questo nuovo è l’erede diretto dello storico quartetto originale Masada (quello con Dave Douglas alla tromba, Greg Cohen al basso e Joey Baron alla batteria), che alla metà degli anni ’90 stupì il mondo intero con una decina di dischi uno più bello dell’altro (a proposito, quei dieci dischi, ormai introvabili, sono ora usciti editi dalla Tzadik, la casa di Zorn, riuniti in cofanetto, non economicissimo, ma vi assicuriamo imperdibile) e con una serie di concerti strepitosi (alcuni ripresi su uscite live e, visto che ogni tanto la vita può anche sorriderci, uno anche visto a Scandicci nel 2000).

La formazione del New Masada Quartet

L’odierna nuova versione schiera, a fianco del leader, il fido compagno di mille battaglie sonore Kenny Wollesen alla batteria, il talentuosissimo chitarrista Julian Lage e il mirabolante contrabbassista Jorge Roeder; rispetto al quartetto originale, che era formato da musicisti quasi coetanei del settantenne Zorn, ci sono due quarantenni (Roeder e Lage) che consentono a Zorn di amplificare il suo ruolo di maestro ed insegnante, quasi come un novello Art Blakey.

L’inizio del concerto traccia subito le coordinate della serata, con lo straordinario intreccio di sonorità free, cambi di tempo, stop and go, proposto seguendo le indicazioni del leader che per tutta la durata del concerto inviterà a turno i suoi compagni di viaggio ad intervenire su una ritmica ora serrata ora placida e sensuale, per poi riprendere il tema principale. L’esecuzione è clamorosamente impegnativa per i musicisti che devono essere sempre pronti ad assecondare gli umori di Zorn, entrando anche all’improvviso con brevi inserti. Ed infatti, si veda in questo video come i tre compagni non stacchino praticamente mai gli occhi dai gesti dell’altosassofonista, con un risultato sonoro che, nonostante la difficoltà esecutiva, risulta essere travolgente per compattezza e solidità.

John Zorn + New Masada Quartet riescono a sorprendere con un concerto travolgente

Il concerto poi si dipana attraverso una musica che può essere basata su contagiosi ritmi klezmer, come su veri e propri blues, dove il sassofono di Zorn è capace di disegnare frasi di un lirismo struggente accanto a grida di rabbia; il risultato comunque è quello di uno continuo stupore che travolge il numerosissimo pubblico presente (il concerto era sold out da settimane), trascinato in un’estasi sonora dove l’unica regola è quella di aspettarsi l’inaspettato. Non si sa mai infatti dove l’estro di Zorn potrà decidere di spingere il pezzo, non lo sanno gli spettatori, che così non possono in alcun modo limitarsi ad un ascolto passivo ma devono sempre tenere le orecchie pronte ed aperte e, come detto, non lo sanno nemmeno i suoi strepitosi compagni di viaggio che per tutta la serata non perdono un colpo e accettano le continue sfide che Zorn lancia loro, anche con diversi c’mon gridati, quasi volesse metterli alla prova, salvo poi a fine pezzo, ringraziarli riconoscente.

La sensazione è di avere di fronte quattro veri e proprio acrobati del suono, che camminano su un sottile filo, dove il pericolo della caduta viene scongiurato solo grazie all’immenso talento di ognuno di loro,

La batteria di Wollesen suona sempre puntuale e fantasiosa, così come la chitarra di Lage disegna preziosi arabeschi che si intrecciano con il sax del leader in un interplay che svela una misteriosa telepatia tra i due mentre il basso di Roeder (vera sorpresa della serata) sostiene ritmicamente tutta questa imponente montagna sonora con tocchi sempre solidi e inesorabili.

John Zorn

Dopo poco più di un’ora di musica (di più, visto l’immane sforzo di produrre musica di questo genere, era impossibile aspettarsi) e dopo l’ultimo bis che era un vero e proprio pezzo rock ‘n’ roll, i quattro si abbracciano felici, consapevoli di aver superato anche per stasera l’ennesima rischiosa sfida e salutano un pubblico adorante e in visibilio.

E si esce dal teatro, tra facce sorridenti che ti fanno pensare che almeno qui, grazie a John Zorn e al suo New Masada Quartet, il jazz non è morto, ma anzi è una musica che è ancora in grado di sorprenderti e stupirti.

Strepitosi; solo appalusi riconoscenti per il New Masada Quartet.

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Classe 1965, bolzanino di nascita, vive a Firenze dal 1985; è convinto che la migliore occupazione per l’uomo sia comprare ed ascoltare dischi; ritiene che Rolling Stones, Frank Zappa, Steely Dan, Miles Davis, Charlie Mingus e Thelonious Monk siano comunque ragioni sufficienti per vivere.

Di Franco Zucchermaglio

Classe 1965, bolzanino di nascita, vive a Firenze dal 1985; è convinto che la migliore occupazione per l’uomo sia comprare ed ascoltare dischi; ritiene che Rolling Stones, Frank Zappa, Steely Dan, Miles Davis, Charlie Mingus e Thelonious Monk siano comunque ragioni sufficienti per vivere.

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