Roberto Menabò backdoor

Storia di un incontro: Roberto Menabò in concerto al Backdoor Festival.

Fra i miei innumerevoli difetti non c’è mai stato quello di cercare di mascherare la mia ignoranza e quindi ammetto senza alcun ritegno che fino a pochi giorni fa ignoravo completamente chi fosse e cosa facesse Roberto Menabò. Per me fino ad allora fa questo cognome evocava soltanto un modello di impaginazione nell’era dell’analogico – anzi, direi quasi dell’artigianale – e magari una rivista letteraria fondata da Vittorini e Calvino alla fine degli anni Cinquanta del secolo scorso. Così quando l’amico Roberto Banchini mi ha detto per la prima volta «Mi raccomando, il 12 ci sei a vedere menabò?», che per me aveva ancora l’iniziale minuscola, ho perfino pensato che si trattasse di una di quelle serate “letterarie” che pure fanno solitamente parte dei programmi del Backdoor, anche se continuava a sfuggirmene l’argomento. Certo, avrei potuto chiedere ulteriori spiegazioni, ma il timore di una figuraccia mi ha trattenuto. Ai successivi e meritoriamente reiterati inviti ho capito che quel menabò meritava almeno una iniziale maiuscola e che era anche preceduto da un nome, Roberto. Ho però colpevolmente continuato a non documentarmi e mi sono presentato alla Casa del Popolo di Castelfranco di Sotto “vergine” di ogni informazione e giudizio.

Roberto Menabò, un chitarrista e un narratore

Mi sono trovato davanti un signore di una certa età – spero non me ne voglia, credo di essere più “vecchio” di lui – e dall’aspetto apparentemente dimesso, dovuto probabilmente anche e soprattutto ad una innata modestia, capace però di tenere inchiodato alle sedie un pubblico piuttosto numeroso per più di un’ora e mezza – e non dubito che avrebbe potuto continuare per chissà quanto ancora senza provocare negli astanti il minimo segno di stanchezza – con la sua Martin e i suoi racconti. Sì, perché Roberto Menabò non è solo un grandissimo chitarrista, ma anche un appassionato e profondo conoscitore della storia del blues, alla quale ha dedicato anche diversi libri, alcuni dei quali si era per fortuna portato dietro insieme ad almeno quattro dei suoi dischi. Più che di un semplice concerto – comunque bellissimo – si è trattato di un concerto-chiacchierata in cui ha alternato vecchi blues da lui rivisitati a brani di sua composizione – particolarmente bello il secondo in scaletta, ancora inedito – introducendoli con storie e aneddoti relativi ai bluesmen, spesso blueswomen, autori e interpreti dei brani eseguiti, con una formula che avevamo già visto, e sentito, sperimentata con successo da un’altra musicista innamorata del blues e della sua storia, nonché anch’essa eccellente strumentista, come Elli De Mon.

Roberto Menabò tomtomrock

Chiacchiere e musica in perfetta simbiosi: e il termine “chiacchiere” non è certo usato in senso negativo, ma per evidenziare il tono colloquiale e, se ci si passa il termine, anti-accademico della conversazione di Menabò che, pur essendo un profondo conoscitore della materia che divulga – o forse proprio per questo – non “se la tira” per niente, unendo alla competenza una ironica modestia che rende gradevolissima la sua conversazione. E non solo simbiosi, ma anche perfetto equilibrio: non una parola di più di quelle necessarie e scommettiamo che nessuno degli spettatori ha pensato neanche per un attimo «Ma quando smette di parlare e ricomincia a suonare?». La stessa “modestia” di cui è intriso il suono della sua chitarra.

Roberto Menabò

Non fraintendetemi: Menabò è strumentista sopraffino, interprete di un fingerpicking raffinatissimo spesso “condito” con un sobrio slide e perfettamente padrone del suo strumento; ma la sua tecnica – che denuncia, come lui stesso dichiara, una lunga frequentazione dell’opera di John Fahey – non è mai fine a se stessa ma sempre al servizio di un’interpretazione nella quale il “sentimento” domina tutte le esecuzioni.

Lo spirito del blues vive nella tecnica di Roberto Menabò

Anche qui né una nota di più né una di meno di quelle che servono a comunicare certe sensazioni, nessuno sfoggio di virtuosismi inutili quando non dannosi. Nessuno sforzo per infilare più note possibili nel minor tempo possibile, à la mode di molti chitarristi metal e anche di certi sedicenti bluesmen contemporanei (vero Joe Bonamassa?). Se volete, un concerto tanto “didattico” quanto coinvolgente che ha fornito una efficacissima descrizione del “personaggio” Roberto Menabò, abilissimo strumentista e appassionato studioso della musica popolare, e non solo di quella americana: non a caso il brano di chiusura, degno epilogo della serata, è stato la bellissima e commovente «Nina ti te ricordi» di Gualtiero Bertelli. Perché a Roberto Menabò non interessa tanto far vedere quanto è bravo – e lo è, molto – quanto far conoscere passato, presente e magari futuro della musica di cui è perdutamente innamorato.

Roberto Menabò concerto

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“Giovane” ultrasessantenne, ha ascoltato e ascolta un po' di tutto: dalla polifonia medievale all'heavy metal passando per molto jazz, col risultato di non intendersi di nulla! Ultimamente si dedica soprattutto alla scoperta di talenti relativamente misconosciuti.

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